Editoriale

Timmermans resta al green

di Tommaso Cerno -


Timmermans resta al green

Da gran paraculo qual è, Franz Timmermans, per anni ombra di Ursula Von der Leyen e talebano della rivoluzione green in Europa, resta al verde di voti e diventa il grande trombato delle elezioni olandesi. Aveva lasciato la commissione per prendersi il Paese ma ha provato sulla sua pelle il fastidio della gente normale per il nuovo monoteismo.

Un’annusata a casa sua, dopo avere pontificato su quanto siamo idioti noi che diciamo che il progresso è sacrosanto, ma la fine del mondo arriva dopo la fine del mese, deve essergli bastata per capire la malaparata di avere lasciato la Commissione europea e il suo futuro politico per andare a farsi fischiare a Amsterdam. Tanto che ai contadini olandesi, che di tulipani ne sanno molto, compresi quelli neri come il leader dell’estrema destra Wilders che ha stravinto le elezioni politiche, aveva provato a fare il gioco delle tre carte. In una campagna elettorale surreale, dove ogni giorno si rimangiava un pezzo di quella dottrina del green new deal che invece dal pulpito di Bruxelles voleva far inghiottire a tutti i Paesi, minacciando gli Stati membri che nicchiavano nell’adeguarsi alla rivoluzione.

Un segnale forte quello che arriva dall’Olanda. Che se è vero che non è l’Europa, come nessuno da solo può esserlo, è pure vero che ci restituisce un quadro di polarizzazione del voto in un contesto di benessere diffuso molto netto verso uno stop alle politiche pilastro della commissione Ursula e di quella maggioranza imparaticcia, senza una direzione unitaria, che sembrava quattro anni fa un capolavoro degli equilibristi di Palazzo e si rivela a pochi mesi dalle elezioni europee un boomerang micidiale per i partiti tradizionali. Che da ieri, anche se non lo fanno intendere, hanno aperto una riflessione su come cavarsi dai guai in vista di giugno 2024. A questa debacle ambientalista si somma la magra figura di Rutte, monolite del rigorismo finanziario dei Paesi membri, al quale neppure è riuscito far vedere la faccia più dolce, perché nessuno gli ha più creduto.

Ed ecco che immaginare un cambio di rotta alle prossime elezioni non è più un tabù. Così come il ruolo del governo italiano, che in patria è stigmatizzato come un governo di destra-destra, cambia natura agli occhi europei. E diventa la forma più allargata di un modello neocon che vede nel premier Meloni una figura più duttile e di garanzia di quanto siano i vari leader estremisti di destra che un tempo facevano da padrone.

E così il mondo del partito popolare si divide. Fra chi vede solo i socialisti e i liberali fra i possibili alleati e chi comincia a parlare apertamente di uno schema che veda destra e centro unite in una nuova fase.
La strada è tutta da percorrere, ma il quadro internazionale consiglia prudenza a chi spara troppo sull’Italia, che si sta mostrando invece un partner affidabile sia per gli Stati Uniti, sia per Germania e Francia che stanno mutando atteggiamento nei confronti di Roma. Anche perché in America la vittoria di Milei in Argentina e i sondaggi a gonfie vele che lanciano Donald Trump, pur invischiato in mille beghe giudiziarie, verso il trionfo alle primarie repubblicane, sono due allarmi enormi per l’Occidente che credeva di portarsi a casa facilmente il Biden bis e una replica pur con qualche correzione di tono del governo Von der Leyen.


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