Trump balla coi dazi ma con la Cina dovrà cambiare spartito
La mappa delle tariffe: stangata la Svizzera, graziato (per ora) il Messico
epa11916895 US President Donald Trump dances after speaking on the last day of the annual Conservative Political Action Conference (CPAC) in National Harbor, Maryland, USA, 22 February 2025. The CPAC is an annual gathering of right-wing activists and elected officials from across the United States and beyond. EPA/JIM LO SCALZO
Trump balla coi dazi, le tariffe americane fanno danzare il mondo. Sì, ma come accadeva nel selvaggio West, dove il più forte sparava nei piedi del più debole per farlo muovere a suo piacimento. Sfrontatezza e potere. Il gran ballo di Trump che, intanto, già sogna di spendere duecento milioni di dollari per dotare la Casa Bianca di una nuova dancing hall da far schiattare d’invidia il resto del mondo. Che, ieri, s’è svegliato in un mondo pieno di tariffe, balzelli. E dazi, tantissimi dazi. Per ora, e l’Europa a sue spese lo sta imparando, c’è solo la parola. E quella basta, per carità, a far ballare il can-can a mercati e imprese. Le Borse, ieri, erano sfinite. Milano era letteralmente sfibrata dall’ennesima mappa dei dazi, ma non è stata la peggiore in Europa: ha perso il 2,22 per cento. Parigi ha fatto pure di peggio cedendo il 2,79% mentre Francoforte ha perso il 2,34%. La ballata delle capitalizzazioni perdute. Ma, a quanto pare, non è che l’inizio.
Trump balla coi dazi
Trump, dunque, balla coi dazi. E ieri ha firmato le gabelle per tutto il resto del mondo che, con lui, non ha trovato un accordo. Il Canada, che ha osato pensare a riconoscere la Palestina seguendo la linea di Londra e Parigi, s’è ritrovato con un balzello alla frontiera del 35%. Il Messico, invece, ha dribblato i rigori ottenendo un’ulteriore deroga di 90 giorni. Ultimo Taco a Città del Messico. La stangata, invece, è toccata alla Svizzera. Ai nostri vicini toccheranno tariffe pari al 39%. Se le aspettavano al 31 per cento, sono rimasti freddati e “rammaricati”. Il dazio svizzero è di poco inferiore a quello più alto imposto nel mondo da Trump: alla Siria a cui, evidentemente, non è bastato sbarazzarsi di Assad. Le toccheranno dazi al 41%, un punto più alto di quelli che, invece, spetteranno al Laos. Caso a parte è il Brasile. Le tariffe saranno al 50% almeno fino a quando il governo di Lula non deciderà di graziare l’ex presidente Jair Bolsonaro che ha il grande merito di essere amico di Trump nonché portavoce politico delle sette evangeliche per cui gli Usa hanno investito tanti miliardi in tutto il Sud America.
L’Europa appesa a un ordine presidenziale
Trump, come il petroliere texano, balla coi dazi attendendosi che una pioggia di dollari gli cada in testa. L’Europa, tremebonda, ancora non ha un vero accordo. Le trattative tariffarie sembrano aver riscritto il significato di questa parola: accordo non sembra più un’intesa tra due parti ma una graziosa concessione per ordine esecutivo presidenziale. Donald ha firmato escludendo dall’applicazione delle tariffe al 15% il settore dell’automotive che, fino a qualche giorno fa, era dato “dentro”. Auto e ricambi saranno tassati al 27,5%. Senza lo straccio di un accordo (vero) e senza neanche la consolazione di una dichiarazione congiunta, l’Ue stamattina ha saputo che l’ordine firmato dal tycoon sarà attivo e operativo tra sette giorni. Insomma, le tariffe al 15% saranno operative all’8 agosto. Olof Gill sperava che lo diventassero già da ieri. Maros Sefcovic, che ha passato gli ultimi due mesi a fare avanti e dietro con l’aereo tra Bruxelles e Washington, è tornato a difendere il suo lavoro che non è finito. Dopo l’ordine ha dichiarato sulla piattaforma americana X: “Ciò rafforza la stabilità per le imprese europee e la fiducia nell’economia transatlantica. Gli esportatori dell’Ue beneficiano ora di una posizione più competitiva. Il lavoro continua”.
The last dance, occhio al Dragone
Trump balla ma, dopo aver sistemato Paesi più o meno “amici”, nel Saloon dei dazi entra la Cina e non è che ci si può immaginare di trattare Xi come un’Ursula von der Leyen qualunque. Marco Rubio, Segretario di Stato americano, ha dettato lo spartito della musica: “Un conflitto commerciale totale tra Stati uniti e Cina, in qualche modo penso che gli Usa ne beneficerebbero, ma il mondo ne soffrirebbe. Avrebbe un enorme impatto sul mondo, poi sulla nostra economia e soprattutto su quella cinese”. Più di così non può certo sbilanciarsi: “Stiamo anche entrando in un periodo di una sorta di stabilità strategica. In fin dei conti, siamo le due maggiori economie del mondo”. Insomma, l’obiettivo della Casa Bianca è quello di stabilire una tregua con Pechino e rafforzarsi, anche economicamente, a spese degli “alleati”. Poi si vedrà, al momento il Dragone è un avversario troppo tosto per essere affrontato a colpi di ordini esecutivi. Aveva ragione Macron analizzando il flop Ue: “Non ci hanno temuti”. Ecco, la Cina, invece, negli Stati Uniti evidentemente la temono eccome.
Torna alle notizie in home