Economia

Trump striglia l’India, corteggia Xi e maramaldeggia sull’Ue

Gli Usa vogliono imporre a Bruxelles di non "vessare" Big Tech

di Giovanni Vasso -


Il prossimo Paese a concludere l’accordo sui dazi con gli States sarà, con ogni probabilità, l’India: fedele a se stesso, Donald Trump ha usato il bastone per colpire New Delhi minacciando dazi al 25%. Parole e toni duri, come quelli utilizzati dal presidente Usa contro l’Europa, reiterati ieri dal suo segretario di Stato Howard Lutnik che ha messo sul tavolo di Bruxelles anche le trattative sulla web tax e, più in generale, la fiscalità su Big Tech. Parole e toni duri, come quelli che gli Stati Uniti non s’azzardano manco a immaginare di utilizzare nei confronti della Cina. Trump, entusiasta, ha annunciato un incontro possibile con il presidente Xi. Ci prova da mesi. È pronto a tutto per ottenerlo, persino a rinunciare a Taiwan. E questa, difatti, è la condizione che Pechino pone per dialogare apertamente con l’America e non soltanto sulla vicenda dazi.

Trump fa la voce grossa con l’India, Modi gli risponde

Un’altra giornata è passata e, ancora una volta, a tenere banco son state le tariffe. Trump, dopo aver chiuso con l’Europa, prova a intimidire l’India: “Anche se è nostra amica – ha scritto su Truth – abbiamo negli anni fatto relativamente pochi affari con loro a causa delle loro tariffe veramente troppo alte, tra le più alte del mondo, e le barriere commerciali non monetarie più dure e odiose”. E non basta, perché il presidente punta il dito contro la pratica delle triangolazioni: “Inoltre anche comprano una vasta maggioranza di materiale militare dalla Russia e sono i principali acquirenti di energia della Russia, insieme alla Cina, in un momento in cui tutti vogliono che la Russia blocchi le uccisioni in Ucraina. Tutto questo non è buono e l’India pagherà dazi del 25% più una penalità per quanto detto sopra, a cominciare dal 1° agosto”. Narendra Modi, però, non è Shigeru Ishiba, tantomeno Ursula von der Leyen. E il governo indiano risponde a tono a Trump: “Prendiamo atto delle dichiarazioni del presidente americano, il governo sta studiando le implicazioni. Abbiamo in corso da mesi negoziati per chiudere un accordo che sia equo e bilanciato e restiamo concentrati sull’obiettivo. Il governo – aggiunge la nota – ritiene importante difendere e tutelare il benessere dei nostri agricoltori, imprenditori e piccole e medie imprese e farà il necessario per difendere l’interesse nazionale”.

Corteggiare Xi

Se con l’India usa toni forti, con la Cina Trump flauta entusiasmo dal megafono Maga del redivivo Breitbart di Steve Bannon: “Stiamo solo decidendo le date ma non vediamo l’ora”. Una mission impossible l’obiettivo di incastrare le agende dei due presidenti dal momento (“forse entro la fine dell’anno” ha spiegato il presidente Usa) che, queste stesse identiche cose, erano state annunciate nei mesi scorsi dallo stesso Trump trovando sempre solenni smentite dal Dragone. Però, tra Usa e Cina, una certa distensione c’è stata con la fine dei colloqui a Stoccolma che avrebbero portato, secondo la parte americana, a una bozza di intesa. Che, ora, spetta a The Don approvare o meno.

La desolazione di Macron

Intanto, in Europa, la desolazione s’avanza. A gettare sale sulle ferite aperte ci ha pensato Lutnik: “C’è ancora da trattare con l’Ue, mi hanno chiamato per parlare di tasse sui servizi digitali e gli attacchi alle nostre aziende tecnologiche: saranno sul tavolo”. Ecco, se Bruxelles cedesse su questo punto la capitolazione sarebbe totale, ingloriosa. E avrebbe avuto ragione Emmanuel Macron. Che, pubblicamente, ha mandato avanti Bayrou per commentare un’intesa che ha deluso, e non poco, Parigi. Ma che, nel corso di una riunione del consiglio dei ministri francesi, avrebbe affermato a chiare lettere che “per essere liberi, bisogna essere temuti” e che noi europei, evidentemente, “non siamo stati temuti abbastanza”. Macron, però, va dritto come un treno: “La Francia ha sempre mantenuto una posizione ferma ed esigente. Continuerà a farlo. Questa non è la fine della storia e non ci fermeremo qui”. Ursula è avvisata. Quello che non è riuscito (del tutto) agli euroscettici forse riuscirà a chi, sull’Ue, ci aveva scommesso tutto. A proposito di sovranisti, chi ride è Nigel Farage che, dopo l’accordo (anzi la resa) Ue sui dazi americani, ha riscontrato un successo postumo del consenso nei confronti della Brexit. Chi, invece, invita a non fare (ancora) drammi è il ministro all’Economia italiano Giancarlo Giorgetti. Che, durante il question time alla Camera, ammette come il costo dei dazi sarò pari a mezzo punto di Pil nel 2026 ma spera in un “graduale recupero”. Intanto, c’è da festeggiare: “L’intesa di sicuro scongiura una guerra commerciale e chiude una fase di incertezza” e, aggiunge il titolare del Mef, avere “quadro di certezze sul piano regolatorio è una imprescindibile premessa per le misure per garantire le imprese italiane e anticipare la programmazione degli investimenti”.


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