Editoriale

Tu di che pace sei

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Siamo rimasti gli ultimi a parlare di pace. Ne parlano al vertice di Gedda. Ne parla Erdogan. Ne parla il Papa. Non ne parla l’Unione Europea, la Nato né gli Stati Uniti d’America. Invece quello che sarebbe logico attendersi è che proprio le democrazie più avanzate del pianeta, le stesse che stanno costruendo e commerciando armi come necessaria strategia per la salvaguardia dei valori fondanti dell’Occidente e della sua libertà, fossero in prima linea a mediare per via diplomatica, forti della potenza che rappresentano e dei valori che proclamano, un cessate il fuoco che abbia a distanza di oltre un anno e mezzo almeno la sembianza di un tavolo di trattative. Ma la pace è un business proprio come lo è la guerra. Non è più la sua antitesi, ma un suo aspetto. Una condizione che deve generare utile sia in chiave finanziaria sia in chiave geopolitica.

Ed è per questo che da qualche giorno è ufficialmente cominciata la guerra per la pace, un sottoinsieme del conflitto in Ucraina che ci mostra come la prospettiva su cui si sta conducendo la battaglia al fianco di Zelensky trascende in modo evidente ormai le rivendicazioni di Kiev e le necessarie garanzie sulla sua integrità territoriale. Che la guerra tra Russia e Ucraina fosse il campo di battaglia, orribile lo si sapeva dall’inizio. Ma ancora non si sapeva che quando la parola pace fosse entrata finalmente nel dizionario del pianeta, un pianeta non più monolitico ma che si sta dividendo in sfere diverse di influenza, non sarebbe stata il patrimonio comune su cui costruire una trattativa, anche multipolare, per far valere le proprie posizioni e visioni nell’ottica tuttavia di far finire l’orrore della morte e della distruzione in un Paese europeo così vicino a noi, bensì la nuova ragione di conflitto.

Abbiamo visto cosa è avvenuto al vertice di Gedda, abbiamo ascoltato le reazioni di Erdogan che si è da tempo elevato a unico mediatore possibile, ottenendo dall’Europa un accordo scellerato che penalizzerà i nostri alleati curdi in cambio dell’ingresso di un Paese dittatoriale o giù di lì nel tempio delle democrazie, democrazia a parole ovviamente. La voce del Papa è isolata e di fatto inascoltata in Occidente, ci sono insomma tutti i presupposti per un braccio di ferro fra più soggetti che avrà come obiettivo dichiarato la pace in Ucraina ma come obiettivo reale la definizione dei pesi e dei ruoli dei diversi blocchi culturali e industriali nel nuovo mondo che non vede più Washington e Bruxelles come protagonisti assoluti.

E in tutto questo la Cina prende il largo nel suo piano di superamento degli Stati Uniti come superpotenza economico e militare, un progetto che pesa sul nostro futuro, sia come Occidente che come Paese. Perché ci mette nelle condizioni di veder sfumare un percorso che avevamo costruito negli ultimi anni e che ci vedeva ponte fra est e ovest. Con la necessità di individuare un modo diverso per collaborare. E per quanto questo possa sembrare lontano da quanto stiamo vedendo succedere a pochi chilometri da noi, sta tutta in questa dicotomia la fatica che faremo a trovare una sintesi che possa far cessare la guerra. In realtà in agenda si è aperta una nuova fase. Una fase che nel nome della pace darà a questa guerra una prospettiva stabile e duratura.


Torna alle notizie in home