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Tutti i guai di Elly. Da Prodi ai riformisti: ecco chi non la vuole

di Edoardo Sirignano -

ELLY SCHLEIN SEGRETARIA PD, BRANDO BENIFEI POLITICO, ROMANO PRODI POLITICO


Tutti i guai di Elly, tutti contro Elly. Non è un gioco di società, ma è quello che sta accadendo nelle ultime ore tra le file del Partito Democratico. La vittoria della segretaria non conviene quasi a nessuno. Sono, infatti, i suoi stessi sponsor a minarle il terreno in vista delle europee. La candidatura di Schlein conviene a pochi, così come un acceso testa a testa con la premier Meloni. Ecco perché gli uomini, che dovrebbero salvarla, provano a metterle il classico sgambetto.

La prima inattesa bocciatura a una sua discesa in campo arriva proprio dal padre nobile dell’Ulivo, ovvero quel Romano Prodi che un mesetto prima le aveva dato la benedizione per la leadership del centrosinistra. La vecchia regola del politichese, d’altronde, è chiara: un nome viene fatto prima per essere bruciato. Tale meccanismo non risparmia neanche la sardina. Il Professore, utilizzando la solita scusa delle “finte candidature che sviliscono il voto”, nei fatti, boccia la scelta della regina del Nazareno a sfidare Giorgia nazionale. La verità, però, è molto più complessa. Le dichiarazioni di Prodi sono legate a una strategia ben precisa di un centrismo, che pensava di essere padrone del partito e nei fatti non lo è mai stato. I suoi stessi colonnelli, come Franceschini e Boccia, sperano in un tonfo della sardina per richiamare l’usato sicuro Gentiloni.

La svolta rossa di Elly non ha fatto breccia tra la gente, anzi sembra aver spaccato il partito a metà. La strategia dei compagni 2.0 non può funzionare in una forza che mette insieme tutto e il contrario di tutto. I primi a sperare in un Pd che vada addirittura sotto le percentuali ottenute da Letta sono quei moderati, che pur restando dentro, vedi Guerini, si sentono estranei in casa propria. Se a questi, poi, si aggiungono i grandi uomini di Elly come Zingaretti, a cui fa comodo e non poco capeggiare una lista per Bruxelles, il nodo è quasi impossibile da sciogliere. A tutto ciò, inoltre, bisogna aggiungere la preoccupazione di quelle donne sempre difese dalla segretaria e con l’incubo di perdere la poltrona.

Oltre alle europarlamentari uscenti alla ricerca di una riconferma, come Alessandra Moretti, Irene Tinagli, Patrizia Toia, Daniela Rondinelli, Beatrice Covassi e potremmo fare diversi altri nomi, anche tra le più fedeli alla segretaria, tante sono le quote rosa che vorrebbero ritagliarsi uno spazio. Finanche la compagna Boldrini, pur condividendo con Elly lo spin-doctor, sembra non aver gradito affatto una sua possibile discesa in campo. In questo modo le verrebbe tolta un’occasione ghiotta. Stesso discorso vale per quelle minoranze interne come Paola De Micheli, che avrebbero voluto sfruttare la partita per ritagliarsi una nuova esistenza e invece dovranno restare nell’incerto.

Un assist delle minoranze interne, dunque, che non viene capito o appositamente non è stato recepito dai colonnelli del Nazareno, che vorrebbero sfruttare il momento per togliersi dalle scatole Elly e richiamare la garanzia Gentiloni dall’Europa. Così si metterebbe subito fine alla rivolta dei governatori del Sud, a cui la segretaria non concede il terzo mandato, si eviterebbe la fuga degli ex renziani e si ridurrebbe anche quel divario, venutosi a creare in seguito a un congresso, il cui risultato è stato più indirizzato da qualche intruso 5 Stelle che dai tesserati. L’apparato non poteva mai essere favorevole a una novità, a maggior ragione, se come dicono i numeri attuali, non fosse stata certezza in termini di risultati.

A opporsi, però, a tutto ciò potrebbe essere la stessa segretaria, che percependo la volontà dei suoi di silurarla, potrebbe candidarsi lo stesso e accettare quel confronto con la presidente del Consiglio, che l’ha scelta come sua avversaria, probabilmente perché più debole, per ottenere un po’ di visibilità e magari lanciare qualche segnale di autonomia, fino a ora utopia a queste latitudini.

Nel caso, però, il maggior pericolo si chiama Giuseppe Conte. Il capo del Movimento 5 Stelle non vede l’ora di misurarsi con chi ha meno seguito ed esperienza. Gli anni a Palazzo Chigi, comunque, restano un valore aggiunto e non possono essere presi sotto gamba. Una cosa è certa, Elly sarà sola contro tutti e qualsiasi decisione non sarà supportata, nei fatti, da nessuno. Sarà applaudita da chi vuole pugnalarla, come il peggior Bruto, alle spalle e bocciata da chi già nei fatti l’ha messa in soffitta e non stiamo parlando certamente del centrodestra, con cui la partita, almeno per il momento, a parte qualche giorno dopo le primarie, non è mai iniziata. Questa è la verità nell’ultimo anno, dove la sinistra sembra aver saputo dire soltanto: attenti ai fascisti (probabilmente una centinaia). Il tutto mentre la premier lascia gli estremi e sposa una linea moderata, appetibile e non poco non solo per i suoi vecchi amici di Colle Oppio. Politiche, regionali e amministrative, d’altronde, hanno insegnato tante cose. Peccato che la lezione sembra non essere stata compresa da parte di un Pd, attento più a salvare il gotha che a segnare una svolta.


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