Impianti vecchi e poco sfruttati, il calcio all’ultimo stadio
Italia all’ultimo stadio: l’Eurispes prende il calcio a pallonate e rivela il segreto di Pulcinella. E cioè che il 60% degli impianti italiani omologati per almeno 5.500 persone, quindi quelli a servizio (almeno in teoria) delle serie superiori, sono stati costruiti tra il 1920 e il 1970. In pratica, un’età media di sessant’anni. Il guaio è che si avvicina il 2032, l’anno in cui il nostro Paese ospiterà, in coabitazione con la Turchia, gli Europei. Allo stato attuale, rivela Eurispes, solo un impianto è già pronto per ospitare le partite della competizione. Ed è privato: lo Juventus Stadium di Torino. Appena sotto i minimi imposti dall’Uefa, poi, ci sono l’Olimpico di Roma e il Meazza di Milano. Entrambi gli stadi dovranno essere sottoposti a restyling. E gli altri? Siamo in alto mare: sette città papabili (Firenze, Bologna, Bari, Napoli, Genova, Verona e Cagliari) e nemmeno un impianto che si avvicini agli standard Uefa. Ma non basta. Ci sono solo 23 stadi con una capienza superiore ai 22mila spettatori e solo tre (oltre alla Juventus, anche quelli di Atalanta e Udinese) sono di proprietà dei club. Eppure, oggi, poter contare su uno stadio è fondamentale per far quadrare i conti dei club e per competere sullo scenario sportivo (ed economico) continentale e nazionale. Oggi, però, dagli stadi le società ricavano troppo poco in termini percentuali sul bilancio generale: la media europea è del 18%, ma in Italia Inter, Milan, e Juventus ricavano rispettivamente il 14,8%, il 15,1% e il 14,6%. Troppo poco rispetto alle potenzialità. Il calcio è molto più che uno sport. È un comparto economico capace di contribuire al Pil per oltre undici miliardi di euro che dà lavoro a circa 120mila persone e genera introiti fiscali e previdenziali per lo Stato pari a oltre 1,3 miliardi di euro.
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