Politica

Zaia fuori dai giochi ma la Lega punta a tenersi il Veneto

di Ivano Tolettini -


Il treno per Luca Zaia si è fermato. Il verdetto ha preso forma nelle parole di Stefano Locatelli, responsabile enti locali della Lega: “Prendiamo atto con grande rammarico che Forza Italia non intende ragionare sul terzo mandato, e di certo sono irricevibili scambi con cittadinanza facile o ius scholae. A questo punto, auspichiamo che il centrodestra scelga al più presto i candidati migliori”.

Una dichiarazione che, seppur vestita di diplomazia, rappresenta il game over per le ambizioni di Zaia a un quarto mandato da presidente della Regione Veneto. Tanto più che la nota, rilanciata attraverso i canali ufficiali della Lega, non è una sortita isolata: è il prodotto di una strategia condivisa col segretario Matteo Salvini, che ha dato luce verde allo sgombero del campo.

In gergo militare si chiama ritirata ordinata. Zaia incassa con stile. “Non perdo il sonno”, ha detto in queste ore, segnando una linea di distacco e sobrietà che ha contraddistinto tutta la sua parabola sul tema.

Mai una forzatura, mai una dichiarazione fuori tono. Anche quando, in piena bagarre politica, era evidente che il pressing romano stesse erodendo il fronte leghista. A inchiodare definitivamente l’ipotesi del terzo mandato sono stati, nei fatti, i veti incrociati di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il senatore azzurro Maurizio Gasparri è stato chiaro: “Non siamo favorevoli al terzo mandato perché riteniamo che cariche così ricche di potere debbano avere un certo limite”.

Fratelli d’Italia, per parte sua, ha giocato su più tavoli, evitando lo scontro frontale ma lasciando intendere fin da subito di non voler sacrificare la possibilità storica di esprimere un presidente al Nord. “Se si voleva davvero discutere seriamente, andava fatto anni fa”, ha tagliato corto il senatore e coordinatore regionale di Fdi, Luca De Carlo.

Nel frattempo, dentro FdI si ragiona a voce alta sui possibili candidati in caso di rottura o di impasse nella coalizione: in prima fila ci sono il capogruppo alla Camera, Raffaele Speranzon, e appunto De Carlo. Due figure solide, radicate, che godono del pieno appoggio della premier Meloni e che sarebbero pronte a scendere in campo. Ma è il silenzio eloquente che arriva dalle truppe leghiste a dare la misura dello scenario.

Si chiude una stagione. Senza Zaia in campo e senza nemmeno l’illusione di poterlo candidare, la Lega cambia schema ma rilancia. Secondo le indiscrezioni più accreditate, Salvini sarebbe pronto a cedere il Pirellone nel 2028 (dove già si fanno i nomi di Prandini o Fidanza, di area FdI) in cambio di un patto blindato sul Veneto.

Ipotesi: via libera ad Alberto Stefani, attuale vice di Salvini e segretario regionale, in cambio di un sostegno convinto da parte di FdI e Forza Italia, cui verrebbero garantite fette sostanziose di giunta, consiglio e partecipate. Il nome di Stefani, infatti, circola da tempo. E non è un caso che proprio lui, in queste ore, abbia già avviato i primi contatti con agenzie di comunicazione per la campagna elettorale.

I preventivi per le affissioni sarebbero già in mano allo staff e si lavora per costruire le liste entro luglio, in vista di una possibile data elettorale il 16 novembre. Si tratta di una corsa contro il tempo, considerata l’estate di mezzo. Il direttivo regionale ha già dato mandato ai provinciali di attivarsi: si richiede curriculum e firma per l’autocandidatura, iter uguale per tutti, uscenti inclusi.

Resta però da capire se davvero tutto si sia chiuso qui. In politica, si sa, le clamorose svolte sono sempre dietro l’angolo. Difficile però che il treno del terzo mandato possa ripartire. Da settimane si rincorrono ipotesi su intese trasversali, contropartite e riposizionamenti. Qualcuno, fra i più scafati osservatori leghisti, si dice certo che la ritirata dal terzo mandato serva in realtà a ottenere qualcosa in cambio: la candidatura del Veneto, appunto. Una suggestione che non è del tutto campata in aria. Anche perché senza Zaia e senza la sua lista, la Lega rischia un ridimensionamento secco.

I sondaggi più attendibili danno il Carroccio in Veneto con sei consiglieri o poco più. Ecco allora l’idea di una nuova spartizione: Salvini si accontenterebbe della Regione in cambio di un compromesso politico più ampio, benedetto dai vertici di Roma. Intanto, però, il dado sembra tratto. Il treno del terzo mandato è sul binario morto e chi ci era salito per l’ultima corsa dovrà scendere. Per Zaia potrebbe aprirsi la casella del ministero del Turismo, se Santanché fosse rinviata a giudizio. La popolarità di Zaia resta altissima. Ma per la Lega il tempo stringe. In ballo non c’è solo un governatore: c’è la sopravvivenza di un partito che in Veneto ha avuto, per oltre un decennio, una sua golden age. E che ora rischia di tornare a fare da gregario.


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