Referendum, i risultati e l’affluenza: tutti i numeri
Con i dati ancora parziali ma già significativi, sono arrivati i primi risultati sul Referendum: l’affluenza ai cinque quesiti abrogativi su lavoro e cittadinanza si ferma attorno al 30%, ben al di sotto della soglia del 50%+1 degli aventi diritto necessaria per rendere valide le consultazioni. Di conseguenza, i quesiti referendari non superano il quorum e non produrranno effetti giuridici.
Referendum e Amministrative, chiusi i seggi: affluenza sotto al 30%
Referendum abrogativi: risultati e numeri
Con una affluenza di circa il 29% per tutti i quesiti, ecco i risultati e i numeri per onuno dei cinque:
- 1) JOBS ACT: Sì 88.77% – NO 11.23%
- 2) PICCOLE IMPRESE: Sì 87.34% – NO 12.66%
- 3) PRECARIATO: Sì 88.78% – NO 11.22%
- 4) INFORTUNI: Sì 87.06% – NO 12.94%
- 5) CITTADINANZA: Sì 64.67 – NO 35.33%
I quesiti referendari erano cinque e li ricordiamo qui di seguito:
1. Abolizione del Jobs Act e reintegro obbligatorio
Il quesito propone l’abrogazione delle norme introdotte con il Jobs Act nel 2015, che limitano la possibilità di reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, sostituendolo con un indennizzo economico fino a un massimo di 36 mensilità. Questo sistema riguarda i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 nelle aziende con oltre 15 dipendenti. La Cgil ritiene che ciò abbia penalizzato oltre 3,5 milioni di lavoratori, privandoli di una tutela fondamentale. L’obiettivo del referendum è ripristinare il diritto al reintegro previsto dallo storico articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori del 1970, affinché i licenziamenti privi di giusta causa o motivo giustificato siano annullabili con il ritorno effettivo del dipendente al lavoro.
2. Indennizzi nei licenziamenti nelle piccole imprese
Il secondo quesito vuole eliminare il tetto massimo attuale di sei mensilità di indennizzo per i lavoratori licenziati senza giusta causa nelle aziende con meno di 16 dipendenti. Oggi, anche se un giudice riconosce l’illegittimità del licenziamento, l’indennità non può superare questo limite. La Cgil stima che siano circa 3,7 milioni i lavoratori coinvolti. Con il “sì”, si restituirebbe al giudice la discrezionalità nel determinare il risarcimento, senza un tetto prefissato, per garantire una maggiore equità. Il quesito mira dunque ad ampliare le tutele dei dipendenti delle piccole imprese, rendendo più equilibrata e giusta la risposta economica ai licenziamenti ingiustificati.
3. Contratti a termine: stop all’abuso senza causale
Questo quesito interviene sull’uso dei contratti a tempo determinato. Attualmente, è possibile stipularli senza indicare alcuna motivazione (causale) fino a 12 mesi. Questa possibilità è stata introdotta dal Jobs Act nel 2015, modificata nel 2018 e nuovamente ampliata nel 2023. I promotori denunciano l’abuso dei contratti precari, che colpiscono circa 2,3 milioni di persone. Il referendum chiede di eliminare le deroghe e ripristinare l’obbligo di causale anche per i contratti di durata breve, rendendo più difficile l’uso ingiustificato del tempo determinato. L’obiettivo è contrastare la precarizzazione del lavoro e promuovere una maggiore stabilità occupazionale, incentivando le aziende a stipulare contratti più duraturi e giustificati.
4. Responsabilità negli infortuni negli appalti
Il quarto quesito riguarda la sicurezza sul lavoro nei contratti di appalto. Attualmente, in caso di infortunio, la responsabilità legale non può estendersi al committente dell’opera. I promotori chiedono di abrogare questa esclusione, permettendo che anche l’azienda che commissiona il lavoro sia considerata corresponsabile degli incidenti accaduti. La Cgil ricorda che ogni anno in Italia si contano circa 500.000 infortuni e oltre 1.000 morti sul lavoro. Estendere la responsabilità alle imprese committenti avrebbe, secondo i promotori, un effetto deterrente, spingendole a vigilare meglio su condizioni di lavoro e sicurezza. Il quesito punta quindi a rafforzare la prevenzione e tutelare maggiormente i lavoratori coinvolti negli appalti.
5. Cittadinanza agli stranieri dopo cinque anni
Il quinto quesito vuole modificare la legge del 1992 che prevede dieci anni di residenza per uno straniero non comunitario che voglia ottenere la cittadinanza italiana. La proposta referendaria mira ad abbassare questo termine a cinque anni, come previsto dalla normativa italiana fino al 1992. Si tratta di uno dei requisiti più restrittivi d’Europa. Secondo i promotori, ridurre il tempo di attesa renderebbe più accessibile la cittadinanza e favorirebbe l’integrazione, soprattutto per i giovani e i minori stranieri. Sebbene non introduca direttamente lo “ius scholae”, ne semplificherebbe il percorso, facilitando la regolarizzazione di molti ragazzi nati o cresciuti in Italia da famiglie straniere.
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