L'estate bollente degli ospedali del Nord-Est del Paese: la fotografia scattata da Simeu
Il clima si fa rovente, ma non solo per le temperature: la sanità pubblica veneta affronta l’estate con il fiato corto. I Carabinieri del Nas, su impulso del Ministero della Salute, hanno effettuato 3 mila ispezioni negli ultimi mesi, riscontrando irregolarità nel 27% dei casi.
Emerse carenze in nove ospedali tra Padova, Verona, Vicenza, Venezia e Rovigo. Due i nodi cruciali: la regolarità dei contratti dei cosiddetti medici a gettone e il rispetto dei tempi nelle liste d’attesa. Il quadro preoccupa: turni affidati a personale non autorizzato, visite ed esami programmati con ritardi gravi, priorità diagnostiche disattese. Nel mirino degli inquirenti è finito anche il crollo delle prestazioni in classe B (da effettuare entro 10 giorni), D (entro 30) e P (entro 60): in appena cinque mesi, le D sono passate da oltre 10.800 a 2.200, le P da 17.381 a 5.304, mentre le B sono state azzerate. Alcune Ulss hanno ammesso di non poter più garantire quelle urgenze per mancanza di organico e disponibilità.
L’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin, respinge le critiche: “I dati inviati al Ministero sono corretti e complessivamente positivi. Se emergono delle criticità, è necessario che ci vengano segnalate in modo puntuale. Tutto comunque è sotto controllo”. Il fronte più caldo, però, è quello dei medici a gettone, lavoratori autonomi pagati a prestazione, spesso assunti tramite cooperative per tamponare la storica carenza di personale nei Pronto soccorso. Secondo quanto previsto dal decreto ministeriale del 17 giugno, il loro impiego dovrà cessare il 31 luglio.
E proprio in piena estate – nel momento di massimo bisogno – il sistema rischia di perdere un supporto che oggi rappresenta, in alcune strutture, fino all’80% dei turni. A lanciare l’allarme è Alessandro Riccardi, presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza (Simeu): “Dal 31 luglio scadono i contratti con le cooperative. In molte aziende ospedaliere questi medici sono essenziali. Il problema è che non esiste un piano B chiaro per sostituirli in tempi brevi. Il rischio è concreto: reparti sguarniti e Pronto soccorso in grave affanno, proprio nel cuore dell’estate”.
Non solo: molte cooperative prevedono vincoli contrattuali che impediscono al personale medico di essere assunto direttamente dalle aziende sanitarie per un periodo che può arrivare a due anni. Una norma che di fatto blocca ogni possibilità di stabilizzazione immediata. “Senza deroghe e senza concorsi rapidi – avverte Riccardi – intere regioni rischiano il collasso. Il caldo aumenterà gli accessi, il personale in ferie ridurrà ulteriormente la forza lavoro disponibile, e i Pronto soccorso rischiano di trasformarsi in imbuti ingestibili».
La fotografia scattata da Simeu è chiara: tra il 20% e il 30% dei medici nei dipartimenti di emergenza-urgenza proviene oggi da cooperative. La loro uscita rappresenta un taglio secco, non progressivo. La macchina si fermerà da un giorno all’altro, se non arriveranno soluzioni concrete. E le previsioni meteo fanno il resto: già da domenica undici città italiane saranno in bollino rosso per le ondate di calore. «Siamo ancora in una fase sotto controllo – conferma Riccardi – ma tra qualche giorno ci sarà il picco. E allora potremmo trovarci davvero nei guai». Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha cercato di rassicurare, puntando sulla necessità di trasformare la spesa per i gettonisti in assunzioni stabili: “Le professionalità ci sono. Se i giovani scelgono oggi il gettone, è perché il sistema non offre alternative. Ma se rientrano attraverso concorsi regolari, possiamo ricostruire il sistema dall’interno”.
La strada è giusta, ma i tempi sono lunghi. Intanto le Ulss, strette tra vincoli di bilancio e carenza di organici, si affannano per trovare soluzioni. Alcune aziende stanno valutando richieste di proroga ai contratti in scadenza, altre accelerano la pubblicazione di bandi, ma la burocrazia è lenta e le graduatorie spesso vuote. I sindacati della dirigenza medica parlano di turni massacranti, ferie revocate, e un malessere diffuso tra i camici bianchi rimasti.
Nel frattempo, chi paga le conseguenze di tutto questo è il cittadino. Visite rinviate, pazienti in attesa per mesi, ambulatori deserti, e costi che si spostano sul privato. Chi può, paga di tasca propria; chi non può, rinuncia. “Ogni ospedale – conclude Riccardi – sta cercando soluzioni per evitare il ritorno alle immagini di pazienti stesi in barella nei corridoi. Ma servono risorse, personale e tempo. E nessuna di queste tre cose abbonda in questo momento”. Il Veneto, che fino a pochi anni fa era un modello nazionale di efficienza sanitaria, oggi mostra di avere il fiato corto. E la prospettiva per i mesi estivi è carica di incognite. Se la politica non interviene con urgenza: se non si investe nel personale e non si dà una risposta concreta a chi lavora nei reparti, il rischio è che il sistema salti. Non per un’ondata pandemica, ma per un’ordinaria estate italiana.