Vicenda Ramy e Bouzidi condannato per resistenza, Tiani (Siap): per i Cc una ingiusta gogna
Il segretario del Siap sulle motivazioni della prima sentenza dello scorso giugno
Rese note le motivazioni della decisione del Gup di Milano sulla vicenda Ramy con la condanna di Fares Bouzidi, l’amico di Ramy Elgaml, a 2 anni e 8 mesi di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale.
La prima sentenza per la vicenda Ramy
Bouzidi era alla guida dello scooter durante l’inseguimento con i carabinieri, conclusosi con lo schianto fatale di Ramy. Il giudice ha ritenuto il comportamento di Bouzidi illegale e antidoveroso per non essersi fermato al posto di blocco e per aver messo in pericolo la vita di entrambi e dei militari durante una fuga protrattasi per circa otto chilometri con manovre pericolose. Con la sentenza, che verrà appellata dalla difesa di Bouzidi, era stato anche disposto un risarcimento di 2mila euro a favore di ciascuno dei sei carabinieri coinvolti e definito doveroso l’inseguimento dei carabinieri, qualificandolo come istituzionalmente necessario data la condotta del ragazzo alla guida.
Resta aperta l’inchiesta in un altro procedimento, che riguarda l’omicidio stradale (indagini chiuse a luglio nei confronti dello stesso Bouzidi e del carabiniere alla guida dell’auto) e i depistaggi contestati ai carabinieri coinvolti nella vicenda.
Tiani, Siap: Cc sottoposti ad ingiusta gogna
“Lo avevamo detto fin da subito – afferma Giuseppe Tiani, segretario Siap – , la dinamica degli eventi racconta che non rispettando l’alt polizia dei carabinieri per un legittimo controllo, i fuggitivi avevano innescato la catena degli eventi che ha portato alla drammatica morte del giovane Ramy, nonostante i colleghi dell’Arma si fossero attenuti a quanto disposto dalla legge. Ora le motivazioni del Gup di Milano che ha condannato a 2 anni e 8 mesi il giovane che guidava la moto confermano i fatti. Il giudice ha evidenziato che l’epilogo dell’inseguimento dei carabinieri in cui morì Ramy Elgaml era “legale e doveroso”, considerato “adempimento di un dovere istituzionale” nei confronti di chi, con guida pericolosa, ha messo in pericolo la propria vita, quella dei cittadini e quella degli stessi militari. Ancora un volta dunque, ribadiamo che eventi drammatici, come quello di una giovane vita spezzata, non vanno branditi per cinico calcolo e prescindendo dai fatti, solo perché utili ad invocare lo stato di polizia o la deriva autoritaria a discapito di chi lavorando in uniforme compie il proprio dovere”.
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