Attualità

La Flotilla non arriva a Gaza e blocca il Paese

di Giuseppe Tiani -


Il blocco navale imposto da Israele alla cosiddetta Flotilla diretta a Gaza, ha acceso le piazze e alimentato manifestazioni in tutta Europa e nel Mediterraneo. Un terreno scivoloso la rabbia collettiva, se non governata o peggio se manipolata, si trasforma naturalmente in violenza. Alcuni sindacati hanno proclamato lo sciopero generale, con il rischio che il dissenso degeneri in vandalismo è tutt’altro che remoto, lo abbiamo visto troppe volte, con chi brandendo lo striscione della pace poi trasforma in manganello. A esasperare ulteriormente il clima concorrono dichiarazioni irresponsabili di figure pubbliche come Francesca Albanese, rappresentante ONU per la Palestina, che ha definito fascista la polizia, riesumando un cliché decadente, tanto logoro quanto strumentale. Etichette di questo tipo avvelenano il dibattito, delegittimando a priori le forze di polizia gli fa dimenticare, che quegli stessi poliziotti garantiscono ogni giorno la sicurezza dei cittadini e persino quella dei manifestanti più facinorosi. Se davvero la nostra polizia fosse fascista, allora anche la Costituzione che ne definisce ruolo e funzioni dovrebbe avere radici fasciste, un paradosso che si commenta da sé, anche se il tema necessita di un confronto a più voci e di ben altro respiro, non di banali e usurati slogan. In una fase così fragile, molte delle parole pronunciate sono vuote e non portano alcun contributo alla chiarezza di una causa o di una idea, sono soltanto atti di irresponsabilità sociale che contribuiscono in negativo, alle confuse e contraddittorie posizioni e sfumature nei distinguo di alcuni partiti. Un rappresentante ONU che alimenta livore invece di spegnere conflitti è come un vigile del fuoco che appicca incendi, spettacolare, ma inaccettabile. Al di là delle affermazioni della paladina del momento, il diritto di manifestare resta un pilastro della nostra democrazia, ma decade nel momento in cui diventa pretesto per aggredire, incendiare, devastare. È su questo crinale che si misura la maturità di un Paese, la responsabilità della politica, dei corpi intermedi e di chi guida i cortei. Mentre, di contro le istituzioni devono garantire sicurezza senza cedere al ricatto delle frange estremiste; allo stesso modo, chi organizza le proteste deve vigilare perché non diventino terreno di violenza. La questione israelo-palestinese rischia di diventare un detonatore di scontri importati nelle nostre città. Le piazze italiane, già infiammabili, vengono alimentate dalla benzina di parole che dovrebbero invece raffreddare il clima. Chi, per calcolo politico o protagonismo personale, gioca a delegittimare le forze di polizia, non difende la democrazia, la mette a repentaglio. La lezione della cronaca è chiara, basta un gesto, uno slogan, una scintilla perché la protesta politica si trasformi in un campo di battaglia. E questa, oggi, è la vera minaccia che incombe sul nostro Paese, a seguito del fallimento della missione che la Flotilla si era prefissa. In sintesi, chi avvalla o avvallerà per gli affari italiani, l’uso improprio della parola resistenza, evocandone il valore simbolico quale vessillo dei nostri giorni, si assume la responsabilità morale e politica di strumentalizzare, violentandola, la rivoluzione culturale, sociale e politica sigillata nella storia del Paese per la resistenza al regime, che certamente, oggi non può essere utilizzata come lasciapassare per aggredire o dileggiare le istituzioni, il Governo legittimamente eletto, i poliziotti e le Autorità di pubblica sicurezza, che svolgono il loro lavoro e dovere.


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