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Ilaria Salis e il lavoro come epopea: quando il precariato diventa autostima parlamentare

Ilaria Salis racconta i suoi mille lavori precari in un post virale. Tra camerieri, vendemmie e moralismi europei, l’eroina del precariato diventa simbolo (involontario) dell’autocompiacimento politico. Ironia e cinismo per una storia tutta italiana.

di Anna Tortora -


Io nella mia vita ho sempre lavorato (e ora ve lo racconto come un sacrificio biblico)

“Prima che imbastiscano l’ennesima narrazione tossica per screditarmi…”
Comincia così Ilaria Salis, come se si stesse preparando a un processo dell’Aia e non a un post su Instagram.
Poi arriva la rivelazione shock: ha lavorato.
Giuro. Proprio come noi comuni mortali.
Pare abbia fatto di tutto: la cameriera, la vendemmiatrice, l’educatrice, l’insegnante, la martire del catering del Salone del Mobile.
Un curriculum che neanche la dea Kali, ma con più part-time e meno braccia.
Raccontato, però, con la solennità di chi ha appena vinto il Nobel per la resilienza.

“Lavoravo in nero perché ai datori non conviene metterti in regola.”Davvero? In Italia? Ma dai! Nessuno lo sapeva. Fortunatamente è arrivata Ilaria a denunciarlo, tra un europarlamento e una story.

“Per anni ho fatto l’educatrice con compensi da fame.”
Capita. Di solito lo dici alle tre di notte davanti al frigorifero vuoto, non in un post di autocelebrazione politica, ma vabbè: il dolore condiviso è più performante.
Poi arriva la svolta narrativa: “Mi sono iscritta alla Laurea Magistrale, ho conseguito tutti i crediti per insegnare Lettere…”
Una specie di Eat Pray Love del precariato, solo con più CAF e meno Bali.

Dalla vendemmia a Bruxelles: l’ascesa dell’eroina del disagio

E giustamente, come ogni eroe moderno, arriva la morale:
“Non come quei politici assenteisti – vero Angelucci?”
Perché in Italia non basta dire “ho lavorato”: devi anche specificare che lo hai fatto meglio degli altri.
Nel frattempo, chi legge non sa se commuoversi o chiedere il codice IBAN per la colletta.
Perché a furia di elencare i sacrifici, sembra quasi che il lavoro non sia un’esperienza, ma una tortura da esibire con orgoglio. E infatti lei conclude invocando i “lavoratori sfruttati e silenziosi”, parlando (ironia della sorte) proprio sopra di loro.
Dal Parlamento europeo.
Con stipendio europeo.
E social manager italiano.

“Il martirio è il nuovo mestiere”
C’è chi lavora e tace, e chi lavora e lo mette in bio.
Ma in fondo, va bene così:
in un Paese dove il lavoro non paga, almeno la retorica rende.
E chi non capisce, continui pure a farsi sfruttare: gli piace.

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