Un divario che si allarga con il Nord. Peggio di noi, in termini di distanza tra aree dello stesso Paese, solo la Romania
La povertà azzanna il Sud. Archiviate le Regionali, al Sud non restano che i numeri. E non sono certo positivi. Quelli che arrivano dall’Eurostat, poi, sono anche peggio. Già, perché la Calabria è la terza regione europea dove è più forte il rischio di povertà. Prima della “punta” dello Stivale, ci sono soltanto la Guyana francese e l’enclave di Melilla, sulle coste del Marocco, che appartiene alla Spagna. Le cifre inchiodano il Mezzogiorno a uno scenario di rischio e pericolo. Il guaio, però, è che non si tratta della sola Calabria. Che, semmai, rappresenta la punta dell’iceberg. Il problema è che buona parte delle regioni meridionali si piazzano in quell’area della classifica in cui l’incertezza del futuro è una realtà quotidiana per una parte sempre più grande della popolazione.
Povertà, al Sud è alta
In Europa, stando ai numeri diffusi da Eurostat, il rischio povertà è rimasto invariato tra il 2023 e il 2024. Coinvolte il 16,2% della popolazione residente, pari a poco più di 72 milioni di abitanti. Una folla immensa, enorme, uno Stato nello Stato se si pensa che l’Italia, da sola, non arriva (più) nemmeno a 60 milioni di residenti. In cima alla graduatoria, come detto, ci sono Guyana (dove l’indice del rischio povertà è pari al 53,3%) e Melilla (dove si attesta al 41,14%). Entrambe hanno una caratteristica: si tratta di territori non contigui alla madrepatria. La Calabria, terza in classifica, è la prima regione continentale per incidenza del rischio povertà con un tasso del 37,2%. Appresso, altre due Regioni italiane del Sud: la Campania, dove l’esclusione sociale pesa con il 35,5% e la Sicilia dove il tasso di rischio povertà si stabilizza a 35,3%. Nessuno peggio. Per trovare una situazione simile bisogna attraversare l’Adriatico e raggiungere la Grecia occidentale e l’area dell’Egeo dove il rischio rimane superiore al 30%. Come accade, tornando in Italia, in Puglia dove l’incidenza è stimata nel 30,9%. A questi, vanno sommati gli altri dati. Quelli che riguardano il Nord.
Il divario col Nord
Dove, in media, il rischio povertà è pari a meno della metà e interessa un segmento della popolazione inferiore al 12,5%. Meglio di tutte fanno le (solite) province autonome di Trento (5,9%) e Bolzano (6,9%) e l’Emilia Romagna (7,6%) con tassi di esclusione sociale che non arrivano neanche in doppia cifra. Restituendo, così, l’immagine dell’ennesimo divario che divide Nord e Sud. Un Paese spaccato in due. Un caso unico in Europa. Se si fa eccezione per la Romania. Dove si assiste al clamoroso iato che divide le aree periferiche rispetto alla regione della capitale Bucarest. Che è, secondo Eurostat, quella con il minor rischio di incidenza di povertà di tutta l’Ue con il 3,7%. E fa meglio persino della Provincie Oost-Vlaanderen, in Belgio, dove il pericolo esclusione sociale riguarda solo il 5,4% della popolazione.
Proprio l’immagine del Paese spezzato in due viene sottolineata dal Codacons che commenta: “Le regioni del sud Italia continuano ad essere fanalino di coda in Europa sul fronte della ricchezza, dei redditi e dei consumi, con la Penisola letteralmente spezzata in due sul piano economico. Regioni del sud che registrano dati negativi anche sul fronte dei consumi, con la Campania che vede i consumi finali pro-capite dei cittadini praticamente dimezzati rispetto a quelli di chi risiede in Valle d’Aosta: 15.200 euro a residente contro i 30.500 euro della Val d’Aosta”. Ecco, perché poi è tutto un rincorrersi di cause ed effetti. Chi è povero spende meno, e dove si spende meno c’è fisiologicamente meno ricchezza. Col rischio di vederla diminuire ogni giorno, sempre un po’ di più.
Che fare?
A questo punto si impone la domanda dalle cento pistole. Che fare? Per il segretario generale dell’Ugl Paolo Capone occorre ripartire dal lavoro: “È necessario proseguire con determinazione nel rafforzamento delle politiche occupazionali che stanno avendo un impatto particolarmente significativo con livelli record di nuovi posti di lavoro. La povertà si combatte innanzitutto creando lavoro stabile e di qualità, non attraverso assistenzialismo o misure emergenziali prive di una visione di lungo periodo. Il lavoro resta lo strumento più efficace per garantire dignità, autonomia e reale inclusione sociale”.