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La moda Made in Italy alla sfida del passaporto digitale Ue

di Giorgio Brescia -


La moda in Italia e in Europa ad un punto di svolta. Il mercato globale cambia rapidamente: consumatori più consapevoli, concorrenza internazionale, pressione su costi e sostenibilità. In questo contesto, una filiera da reinventare. Tra le scommesse più ambiziose, il passaporto digitale di prodotto.

La moda alla sfida del passaporto digitale Ue

In Italia, l’Enea sviluppa la piattaforma Trick, pensata per tracciare l’intero ciclo di vita di un capo, da materia prima a fine‑vita, passando per produzione e distribuzione. Una infrastruttura utile a dare concretezza al passaporto digitale che l’Europa sta definendo come requisito per il mercato tessile entro il 2027. L’idea è chiara: offrire trasparenza e sostenibilità — che per essere economica deve anche essere ambientale — a chi produce, a chi vende e a chi compra.

In Italia, il comparto moda resta un pilastro economico e culturale. Nonostante le difficoltà internazionali — tra flessione del mercato del lusso in Cina e tensioni commerciali globali — il settore continua a contare su un vasto tessuto di imprese grandi, medie e artigiane, su un export importante e su una filiera che rappresenta un patrimonio di competenze, artigianato, design, made in Italy.

Ma l’incertezza resta alta. Molte pmi faticano a dotarsi delle tecnologie e delle strutture necessarie per gestire la digitalizzazione, la tracciabilità, la sostenibilità ambientale e la trasparenza. La sostenibilità come obiettivo teorico, non accompagnato da un’organizzazione reale della filiera. Dietro al lusso e al Made in Italy un nodo a tratti inquietante: le condizioni del lavoro, il rischio di sfruttamento, la mancanza di garanzie lungo le catene di subappalto.

Il Piano del governo

Per dare risposte concrete, il governo ha lanciato quest’anno il Piano Italia per la Moda. Presentato dal ministro Adolfo Urso, dedica al settore circa 250 milioni di euro da destinare già nel 2025. Fondi per contratti di sviluppo e strumenti per accompagnare la transizione ecologica e digitale.

Per Urso, da affrontare la crisi congiunturale e le criticità strutturali della moda in Italia. Serve liquidità per le imprese in difficoltà, sostegno agli investimenti, consolidamento della filiera, lotta alla contraffazione e politiche per rafforzare la competitività del Made in Italy.

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Cosa fanno in Germania e Francia

Da questo quadro, l’auspicio: un’Italia della moda che investe su innovazione, sostenibilità e qualità. Una promessa — per essere realistica — che deve fare i conti con il contesto europeo. Qui, nella comparazione con altri Paesi, luci e ombre.

In Germania vige da tempo la legge Supply Chain Act che obbliga le imprese a fare due diligence su diritti umani e ambiente lungo l’intera filiera. Il risultato, un modello che tenta di bilanciare trasparenza dei materiali e filiera responsabile, con norme rigide e vincolanti.
In Francia, un’attenzione crescente al tema della sostenibilità ambientale, della circolarità e del contrasto allo spreco. Con leggi come l’Anti‑Waste and Circular Economy Law, il governo francese ha vietato la distruzione di tessili invenduti e imposto che capi e prodotti invenduti siano destinati a riciclo, riuso o donazione. Così incentiva qualità, durabilità, riciclo.

Approcci in linea con le logiche del passaporto digitale — trasparenza su materiali, riciclo, ciclo di vita — e con un’idea di moda più consapevole.

La “metà strada” in Italia

In Italia il disegno appare più “a metà strada”. La grande sfida: come garantire che la trasparenza non resti un’etichetta — e che la sostenibilità non sia solo greenwashing.

Il passaporto digitale potrà essere un pilastro: visibilità a materiali, produttori, cicli di vita. Ma senza una regolamentazione di filiera che includa la tutela del lavoro e l’obbligo di due diligence su fornitori e condizioni sociali, il rischio resta alto. Perché un capo può essere “certificato” come sostenibile da un punto di vista ambientale e poi essere prodotto in condizioni opache, magari con sfruttamento, caporalato o subappalti poco trasparenti come emerso nei mesi scorsi.

Il pericolo della zona grigia

Il pericolo, una visione “mista”: sostenibilità come vetrina, produzione come zona grigia. Il ministro Adolfo Urso non ha nascosto l’ambizione: “È il momento di consolidare il Sistema Italia, il nostro patrimonio di qualità e creatività”.

Perché la definizione di strumenti strutturati — contratti di sviluppo, misure di liquidità, politiche di coordinamento — segna un salto rispetto a interventi spot.

Tuttavia, la vera prova sarà nella capacità del sistema moda italiano di combinare con il passaporto digitale tre elementi: innovazione digitale, sostenibilità ambientale e responsabilità sociale. Solo così la grande transizione non rischierà di restare a metà strada.

La sfida non è solo tornare competitivi. È costruire un settore moda che non chieda più compromessi tra bellezza, qualità, etica e futuro.


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