Ai e filiere 5.0: ci vuole una rivoluzione manageriale
Essere “pronti” non significa avere solo l’ultimo algoritmo ma pure persone capaci di farlo funzionare davvero
In Italia si parla di Ai, filiere 5.0 e Made in Italy competitivo. Ma dietro le luci della ribalta digitale, la realtà delle imprese racconta un’altra storia: la tecnologia non basta se non c’è chi la governa.
Ai e filiere 5.0
Il nuovo rapporto dell’Osservatorio 4.Manager sulle filiere produttive nell’era della conoscenza aumentata scava dietro ai numeri e mostra che il vero nodo competitivo sta in managerialità e competenze.
Il Made in Italy vale oltre 2.600 miliardi di euro, con quasi 500 miliardi di export e oltre 17 milioni di occupati. Eppure, mentre il mercato globale accelera verso la digitalizzazione, molte filiere arrancano. Emergono carenze nei settori chiave: le imprese faticano a trovare dirigenti capaci di integrare Ai, digitalizzazione e sostenibilità. La tecnologia cresce, ma senza una cultura manageriale solida rischia di rimanere un esercizio di stile.
Ruoli chiave, pochi profili femminili
Un problema non solo numerico. La distribuzione per genere nei ruoli chiave è sbilanciata: circa il 77% dei manager sono uomini, pochi profili femminili riescono a entrare nelle filiere strategiche. Settori come comunicazione, risorse umane e pubbliche relazioni mostrano una maggiore presenza femminile, ma nei comparti produttivi e nella supply chain la leadership femminile resta marginale.
Questa disomogeneità, unita alla difficoltà nel reperire profili altamente qualificati, crea un gap che rischia di frenare innovazione e competitività. La ricerca mette in luce come le filiere italiane siano meno catene rigide e più ecosistemi di conoscenza: dietro ogni bottiglia di vino, robot industriale o moda di lusso ci sono reti di manager, dati e algoritmi che pochi vedono.
Imprese vulnerabili
La network analysis del rapporto evidenzia la vulnerabilità di alcune imprese nell’export e la centralità di pochi nodi strategici, spesso legati a leadership capaci di coniugare innovazione tecnologica e competenze trasversali. Alcune imprese, come Eni o grandi gruppi manifatturieri, mostrano coesione e capacità di crescita proprio grazie a una cultura manageriale forte.
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L’adozione dell’Ai nelle imprese è quindi ancora limitata: solo l’8% dichiara di usarla nei processi produttivi, mentre le competenze digitali di base rimangono inferiori alla media Ue. Non basta acquistare tecnologie avanzate, serve una governance che sappia farle lavorare insieme a persone, processi e sostenibilità. Senza questa leadership, la trasformazione digitale rischia di produrre più entusiasmo mediatico che risultati concreti.
Serve una rivoluzione manageriale
Ecco perché il messaggio dell’Osservatorio 4.Manager è chiaro: la rivoluzione non è solo digitale, è manageriale. Investire in formazione, attrarre giovani e donne, sviluppare competenze green e digitali, creare leadership intergenerazionale: solo così il Made in Italy potrà davvero diventare 5.0.
La sfida non nella tecnologia in sé, ma nella capacità di saperla integrare in filiere complesse e collaborative.
In un’epoca in cui l’Ai promette soluzioni veloci, la competitività si misura anche nella cultura delle persone che guidano le imprese. In Italia, insomma, l’Ai può crescere ma, se mancano manager e competenze, resta solo un’idea sulla carta. E in un mondo dove ogni mercato corre, essere “pronti” significa molto più che avere l’ultimo algoritmo: significa avere persone capaci di farlo funzionare davvero.
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