Buen Camino: Via il dente, ma il dolore rimane
Il “boom” di Zalone al botteghino come rito di auto‑consolazione: un successo che funziona solo perché non cambia mai.
Ogni Natale l’Italia si ritrova con la solita notizia: “Boom in sala per Zalone”. È diventato un automatismo, un modo per convincerci che il Paese è ancora capace di muoversi insieme, almeno per un pomeriggio festivo. I numeri vengono trattati come trofei, e la stampa li ripete con un entusiasmo che sembra più un bisogno che un’analisi. Basta un incasso alto per farci credere che la cultura stia respirando, anche se il resto dell’anno è un lungo silenzio. In realtà questo successo non dice nulla sul cinema: dice molto su di noi.
La comfort zone nazionale
Ci aggrappiamo a ciò che conosciamo, a ciò che non ci mette in difficoltà, a una comicità che non rischia e non pretende nulla. Zalone diventa la nostra zona di comfort collettiva, il rifugio perfetto per un Paese che non vuole essere sorpreso. Intanto i media trasformano ogni dato in un piccolo miracolo, come se un giorno di folla potesse cancellare mesi di sale vuote e produzioni che non arrivano da nessuna parte. Il pubblico cerca soprattutto una pausa: a Natale si vuole spegnere il cervello, ridere senza pensieri, ritrovare un copione già scritto. Non si va a vedere un film, si va a confermare un’abitudine.
L’immobilità applaudita
Il risultato è un rito che si ripete senza alcuna evoluzione, un gesto che rassicura proprio perché non cambia mai. Il “boom” diventa un modo per sentirsi ancora parte di qualcosa, anche se quel qualcosa è fermo da anni. È l’Italia che scambia l’immobilità per tradizione, la prevedibilità per successo, la stasi per identità. E alla fine applaude se stessa senza accorgersi che non si è mossa di un millimetro.
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