Economia

Milano: è un’Alfa o un Parmesan?

di Giovanni Vasso -

Il ministro del Made in Italy Adolfo Urso al Mimit durante la presentazione del logo 'Aggiungi un posto a tavola che c'è un bambino in piu' ', Roma, 1 Febbraio 2024. ANSA/GIUSEPPE LAMI


Uno ci prova pure a volergli credere, a Stellantis. Ma così, davvero, è difficile. No, non per perché il gruppo piange miseria e minaccia il governo di chiudere le fabbriche in Italia se dovesse arrivare “la concorrenza cinese” mentre John Elkann scrive festose lettere agli azionisti Exor distribuendo utili e dividendi a piene mani, rievocando lo spirito di Marchionne. No. Perché l’ultima novità in casa Stellantis è davvero surreale. Ieri l’altro, l’ad Carlos Tavares ha incontrato i sindacati a cui ha ribadito che chi scrive che il gruppo vuol lasciare l’Italia non fa altro che imbrattare carta e diffondere sul web pericolose fake news. Per dimostrare l’italianità cristallina di Stellantis, l’altro ieri pomeriggio, Tavares ha partecipato (“insieme a un gruppo di giornalisti scelti”, da chi?) alla presentazione del nuovo, sfavillante, “Milano”, il nuovo Suv compatto dell’Alfa Romeo, la casa del Biscione che, per chi se lo fosse dimenticato, è prima dell’Alfa, il simbolo dei Visconti, a testimoniare la milanesità della (fu) Anonima Lombarda Fabbrica Automobili. Tutto bellissimo, recensioni entusiaste, squilli d’italicissime trombe e fanfare di orgoglio sabaudo-meneghino. Fino che non s’è scoperto dove verrà fabbricata. No, non al Sud né a Pomigliano d’Arco che, pur azzeccandoci poco con la milanesità c’entra, però, con la storia, gloriosa, del marchio. L’ingegner Nicola Romeo, che salvò ai tempi l’Alfa dal fallimento, seppur portava i baffoni a manubrio all’asburgica era pur sempre napoletano. No, la produzione della Milano, non solo un’auto ma la testimonianza dell’italianità mai rinnegata e anzi sbandierata da Stellantis, avverrà a Tychy, in Slesia, nella Polonia meridionale. Chissà, forse un omaggio alla diaspora italiana, ai tanti expat che in ogni angolo del mondo portano nel cuore l’orgoglio per le loro radici. O forse un omaggio al babà, il mitico dolce inventato dai polacchi e perfezionato dagli italiani. Più probabile, invece, che la produzione sia lì dove oggi si fabbrica la 500 (altra icona d’italianità italo-polacca) e dove si farà la 600 per questioni di logistica o, più schiettamente, economiche. Lo ha detto, Tavares: se prodotta in Italia sarebbe costata 10mila euro in più. Per carità, scelte legittime, lecite, per carità. Epperò chi era già lì, pronto a credere alla (ritrovata?) italianità di un colosso nazionale è rimasto deluso. Figurarsi tutti quelli che, invece, non attendevano altro che l’arrivo di un nuovo modello per salvare le catene e le fabbriche italiane dal loro destino. Delusione, ovunque.  

Così come, deluso, è rimasto il ministro all’Industria e al Made in Italy, Adolfo Urso, che non ha reagito benissimo alle notizie legate alla nuova vettura del Biscione. Ed è pronto a scagliare contro Tavares la più ferale delle scomuniche: “Non si può produrre in Polonia una macchina che si chiama Milano”, ha tuonato il ministro. Che ha aggiunto: “Ciò lo vieta la legge italiana che, nel 2003, ha definito l’Italian sounding”. Pensavo fosse un’Alfa, invece era un Parmesan. “Una legge – ha proseguito Urso – che prevede che non bisogna dare indicazioni che inducano in errore il consumatore, indicazioni fallaci legate in maniera esplicita alle indicazioni geografiche. Quindi un’auto con il nome Milano si deve produrre in Italia, altrimenti si dà un’indicazione fallace che non è consentita dalla legge italiana”. Insomma, Urso vuole un Biscione Dop.


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