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Caporalato alla Tod’s, operai pagati 2,75 euro l’ora: la nuova schiavitù

Tre manager indagati, il 3 dicembre la discussione della richiesta della Procura di vietare la pubblicità per 6 mesi al marchio

di Angelo Vitale -

Il Palazzo di giustizia a Milano


Tre manager di Tod’s formalmente indagati per caporalato: operai cinesi pagati 2,75 euro all’ora (anche a Natale), la nuova schiavitù.

Tod’s: inchiesta per caporalato

La Procura della Repubblica di Milano ha avviato un’inchiesta che scuote le fondamenta di un marchio simbolo del lusso italiano. Non si tratta di numeri astratti o di statistiche: operai cinesi che cuciono tomaie, lavorano turni notturni, dormono in camerate degradanti.

I vertici di Tod’s – Simone Bernardini, Mirko Bartoloni e Vittorio Mascioni – risultano indagati per non aver esercitato un controllo reale sui subappaltatori. Secondo i magistrati, i manager avrebbero ignorato audit ed ispezioni che segnalavano condizioni di lavoro disumane. Sei opifici nelle province di Milano, Pavia, Macerata e Fermo avrebbero mostrato orari massacranti, sicurezza assente, condizioni igieniche precarie e dormitori degradanti. E’ l’accusa di caporalato rivolta alla Tod’s. la nuova schiavitù nel settore della moda.

Alcuni operai pagavano circa 150 euro al mese per dormire in stanze sovraffollate sopra i laboratori, dove si lavorava h/24.

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La richiesta di divieto di pubblicità per 6 mesi per il marchio

Il pm ha avanzato una richiesta forte, firmando un atto di 144 pagine: sei mesi di divieto di pubblicità per alcuni prodotti Tod’s. Non si tratta di misura simbolica: è un colpo diretto alla reputazione di un marchio che si fonda sull’esclusività. L’udienza per decidere su questa misura è fissata per il 3 dicembre, data che potrebbe segnare una svolta nella vicenda. Tod’s rischia anche un commissariamento giudiziario, una misura che implicherebbe un controllo esterno sull’azienda e sui suoi sistemi di gestione della produzione e della filiera.

La risposta di Tod’s appare contraddittoria: rigetta l’accusa di caporalato e l’ombra della nuova schiavitù sul marchio. L’azienda afferma di condurre ispezioni costanti e di avere contratti con i fornitori che garantiscono il rispetto del contratto collettivo nazionale del lavoro. Allo stesso tempo, denuncia il “preoccupante tempismo” nell’avanzamento delle accuse.

Mocassini Tod’s da centinaia di euro pagati pochi centesimi al minuto: la nuova schiavitù

Il paradosso è evidente e crudele: mocassini Tod’s da centinaia di euro vengono prodotti da mani pagate pochi centesimi al minuto. Il brand sventola artigianalità e made in Italy, ma parte della sua produzione poggia su condizioni di lavoro che non hanno nulla a che fare con la dignità o la legalità. Il lusso costruito sulla povertà assume così una nuova forma: invisibile ai consumatori, ma tangibile negli occhi e nelle mani dei lavoratori.

La reazione dell’industria della moda italiana, finora sempre tiepida. Le associazioni di categoria, come la Camera Nazionale della Moda Italiana e Confindustria Moda, riconoscono che l’illegalità esiste ma insistono che non sia la norma e rilanciano accuse al fast fashion imperante. Alcuni rappresentanti chiedono di rivedere misure drastiche come il commissariamento, sostenendo che danneggerebbero l’immagine complessiva del settore.

I sindacati, invece, spingono per interventi concreti: applicazione piena del contratto nazionale, controlli costanti sui subappaltatori, responsabilità solidale dei brand principali e tracciamento etico dei capi per garantire che ogni prodotto possa raccontare una storia verificabile lungo tutta la filiera.

Le iniziative di contrasto

Il governo italiano muove i primi passi per affrontare il problema. È stata proposta una certificazione obbligatoria per le filiere della moda, mirata a garantire trasparenza, legalità e tutela dei lavoratori. Le aziende dovrebbero sottoporsi ad audit annuali, garantire clausole contrattuali che impongano il rispetto dei diritti dei lavoratori anche ai subappaltatori e dimostrare la conformità alle norme di sicurezza e salario.

Nonostante ciò, i grandi marchi sembrano ancora giocare al ribasso sulle responsabilità. Molti continuano a parlare di sostenibilità e artigianalità senza modificare strutturalmente i processi che hanno prodotto scandali come quello di Tod’s. Il risultato è un paradosso evidente: lusso e sfruttamento convivono nello stesso prodotto, nella stessa scarpa, nello stesso accessorio che il consumatore paga a prezzo d’oro.

Tod’s simbolo di un paradosso

Per contrastare seriamente la nuova schiavitù della moda, non basta l’indignazione. Servono strumenti concreti: responsabilità reale dei brand, tracciamento completo della filiera, responsabilità solidale verso i subappaltatori, certificazioni obbligatorie, sanzioni dure e misure come il divieto pubblicitario o il commissariamento quando necessario. Occorrerebbe anche una mobilitazione sociale che coinvolga consumatori, sindacati e società civile. Il lusso etico può diventare una norma solo se ci sono regole chiare e controlli effettivi, non dichiarazioni di principio o audit simbolici.

Tod’s rimbalza nelle cronache come il simbolo di un paradosso doloroso: mentre vende esclusività e qualità, riceve l’accusa di sfruttare lavoratori che guadagnano meno di tre euro all’ora. E quindi è diventato sempre più impossibile per molti accettare che la bellezza costi la dignità di chi la produce. Le indagini, le inchieste e le misure giudiziarie sono l’occasione per trasformare lo scandalo in cambiamento strutturale.

Se l’udienza del 3 dicembre confermerà il divieto di pubblicità, sarà un segnale chiaro: non basta produrre lusso, bisogna produrlo con giustizia. E se il sistema moda continua a ignorare queste regole, spalanca le porte a una nuova forma di schiavitù, nascosta dietro le cuciture perfette e i prezzi da sogno. È ora di scegliere da che parte stare sul serio: con la dignità dei lavoratori o con la comodità del profitto.


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