Giustizia

“Colpire i giudici per zittire la giustizia”: la riforma Nordio è un attacco senza precedenti all’indipendenza delle toghe

di Michel Emi Maritato -


“Colpire i giudici per zittire la giustizia”: la riforma Nordio è un attacco senza precedenti all’indipendenza delle toghe

ROMA – Un attacco frontale, mai così esplicito, all’autonomia della magistratura. Così viene letta da larga parte del mondo giudiziario e da ampie fasce dell’opinione pubblica la riforma della giustizia firmata dal ministro Carlo Nordio. Un testo che ha riacceso, anzi infiammato, il confronto tra politica e magistratura, rendendo ancora più profonda una frattura storica che oggi si allarga sotto i colpi di un disegno di legge che molti definiscono “punitivo e ideologico”.

Il testo, già approvato in Consiglio dei Ministri e ora al vaglio del Parlamento, interviene su quattro nodi cruciali: separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, limitazione delle intercettazioni, obbligo di segretezza sui verbali, responsabilità civile diretta dei magistrati, oltre a una stretta sulla custodia cautelare.

Misure che, secondo il Governo, hanno lo scopo di “modernizzare” il sistema giudiziario, tutelare la privacy dei cittadini e garantire la terzietà del giudice. Ma la realtà, per chi vive ogni giorno le aule di giustizia, è ben diversa.

La separazione delle carriere viene vista da molti magistrati come un tentativo di subordinare l’azione penale al potere politico, creando due Consigli Superiori distinti e spezzando l’unità della magistratura.
Sulla stessa linea l’allarme lanciato dalla deputata Stefania Ascari, che parla senza mezzi termini: “È una riforma punitiva e ideologica, fatta per colpire la magistratura e mettere i PM sotto controllo politico. Sulle intercettazioni, l’ossessione del governo serve solo a proteggere i potenti. I cittadini chiedono giustizia, ma si risponde imbavagliandola”.

Non meno preoccupanti sono le norme sulla responsabilità civile diretta dei magistrati, che secondo molti rischiano di aprire la strada a pressioni, minacce velate e condizionamenti esterni, compromettendo la serenità del giudizio.

Nel frattempo, nei tribunali di tutta Italia si moltiplicano i segnali di protesta: si parla di assemblee straordinarie, astensione dalle udienze, mobilitazioni pubbliche. Le toghe non ci stanno a essere trasformate in bersagli di un attacco politico.
Il Governo, però, fa quadrato. La premier Giorgia Meloni ha definito la riforma un passaggio necessario per un Paese moderno”, e le forze di centrodestra esultano per quella che considerano“ la fine del giustizialismo e delle fughe di notizie”.

Ma la contrapposizione è netta. Il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle gridano alla “deriva autoritaria” e denunciano un tentativo sistematico di piegare il potere giudiziario all’esecutivo. Un déjà-vu che riporta alla mente le tensioni di Tangentopoli, ma con toni ancora più accesi.

La riforma Nordio, a conti fatti, si configura come uno spartiacque. Non solo una modifica dell’assetto della giustizia, ma un vero e proprio test di resistenza per la democrazia costituzionale italiana. In gioco non c’è solo la funzionalità dell’ordinamento giudiziario, ma l’equilibrio tra i poteri dello Stato e il principio – fondamentale – dell’indipendenza della magistratura.

E mentre il Parlamento si prepara al confronto finale, nei palazzi della giustizia e tra le toghe di tutta Italia si respira aria di mobilitazione. Il timore è che non si stia riformando, ma smantellando. E che in questo autunno caldo, a essere messa sotto accusa non sia solo la giustizia, ma la libertà stessa di giudicare.


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