Politica

Democratic departures

di Domenico Pecile -

MICHELE EMILIANO PRESIDENTE REGIONE PUGLIA


Addii, mali di pancia, malumori, scontri interni ovattati a fatica. Così, dopo l’euforia iniziale per la vittoria insperata per la segreteria nazionale sul governatore dell’Emilia Romagna, Bonaccini, la nuova dirigenza del Pd è costretta a fare i conti con un new deal che non tutti riescono a metabolizzare. Le defezioni di Beppe Fioroni e poi di Andrea Marcucci e quelle più recenti di Enrico Borghi, traghettato in Italia viva, e dell’eurodeputata Caterina Chinnici, data molti vicina a Forza Italia, stanno costringendo la segretaria Elly Schlein a fare i conti con se stessa, ovvero con la decisa svolta a sinistra che ha voluto imprimere ai dem. I vertici del Pd cercano di minimizzare il malcontento interno (il leader di Base riformista, Lorenzo Guerini pur non approvando la scelta di Borghi, spiega che “non va liquidata con una semplice alzata di spalle”), ma sono consapevoli che altri fronti stanno per aprirsi, soprattutto da parte dei riformisti e più ancora dei cattolici che non sembrano propensi a seguire le politiche della segretaria sui diritti civili. E tra i big che stanno scalpitando e che male hanno digerito quella che Borghi ha definito “la mutazione genetica del Pd”, ci sarebbe (condizionale d’obbligo) diversi. Ci sarebbe, ad esempio, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che in molti danno in pole position come regista di un possibile nuovo soggetto politico autonomo e di una possibile intesa con Fioroni. Insomma, un nuovo partito moderato e riformista. Un’ipotesi che se dovesse concretizzarsi diventerebbe deflagrante per il Pd. Anche perché il malcontento nei confronti della nuova linea politica alla Mèlenchon potrebbe investire un altro governatore politicamente irrequieto, poco incline ai diktat e spesso battitore libero: Vincenzo De Luca. Ma un altro nome su cui i fari sono puntati è quello di Carlo Cottarelli. In questo caso però, ha spiegato un deputato dem, non c’entrerebbe l’appartenenza all’area riformista e cattolica quanto un malessere personale per l’incarico svolto in Parlamento. Se dovesse lasciare il Pd – eventualità che al momento i dem escludono categoricamente – un approdo potrebbe essere quello di Azione di Calenda. “Con la nuova segreteria è una scommessa per tutti, perché viene da una storia diversa. Io penso che non ci saranno altre fuoriuscite”, è stato il commento del responsabile del Pnrr, Alessandro Alfieri. Il vertice sta correndo al riparo nel tentativo di costruire un argine ai possibili fuggiaschi. Sono in programma diversi incontri soprattutto da parte dell’area cattolica. Da registrare, ad esempio, l’iniziativa delle deputate Marianna Madia e Lia Quartapelle, insieme al senatore Filippo Sensi, per organizzare un ciclo di seminari sul futuro del Pd. L’obiettivo di tutte queste iniziative è di scongiurare altri abbandoni e fare in modo che anche chi in questo momento si sente in grande disagio non lasci la barca. “Io continuo a dire che le ragioni del riformismo debbano stare dentro al Pd è il pensiero riassuntivo del tutto della Madia.
Da parte sua, la Quartapelle assicura che “lavoreremo perché sia il Partito democratico a proporne una di idea sul futuro che questo Governo non ha”. I seminari copriranno i temi della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, l’immigrazione e l’integrazione e la mancata crescita dei salari. Ma intanto continua a tenere testa l’addio di Borghi. Che ieri ha motivato così il suo rompete le righe: “C’è l’urgenza di costruire il progetto del Terzo polo perché c’è uno spazio aperto al centro, tra quegli elettori che non si sentono attratti dal dibattito delle due curve. Da un lato c’è la Merkelizzazione di Giorgia Meloni, cioè il tentativo della destra di sfondare al centro. Dall’altro il Pd ha deciso di arroccarsi su posizioni identitarie, ma che non consentono di diventare maggioranza nel Paese. Il posizionamento di una sinistra molto massimalista, direi quasi radicale, non permette di creare uno schieramento alternativo alla destra”. E a chi, come Francesco Boccia, invoca le sue dimissioni dal vertice del Copasir, Borghi ribatte che si attiene “alle prerogative della legge. Mi sorprende che di fronte a una manifestazione di un disagio, si sia gradato agli aspetti piuttosto che al disagio”. “I cattolici, i popolari, i liberal-democratici, nella segreteria Schlein, oggi sono ospiti paganti, ma con il tempo saranno sgraditi e anche ingombranti”, è stato l’avvertimento dell’ex ministro Fioroni, dopo l’abbandono di Borghi, avvertendo anche che “qualcuno ha scelto di trasformar il Pd, in modo legittimo, in una sinistra-sinistra”. Sul fronte opposto Matteo Orfini ha affidato a Facebook la difesa della segreteria. “Un partito non è solo la sua leadership. O meglio, molti partiti lo sono ma non il Pd. Nel Pd – ha scritto – c’è spazio per tutti, c’è pluralismo e confronto. E se si è convinti del proprio punto di vista e delle proprie idee si lavora per affermarli, e con quelle idee si cerca di dare una mano, nella chiarezza e nel rispetto reciproco.
Certo, chi guida la nostra comunità dovrà dimostrare di tenerla unita. Ma quella comunità è patrimonio di ognuno di noi e ognuno di noi ha il dovere di lavorare per rafforzarla. Non dimentichiamolo”. Intanto, il leader di Italia viva, Matteo Renzi, continua ad affermare che c’è la necessità di rilanciare il progetto centrista forte del fatto che questa richiesta arriva incessante da più parti.

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