Editoriale

Di Giggino e di governo: in latinorum verrebbe da dire Ubi Di Maio…

di Tommaso Cerno -


In latinorum verrebbe da dire Ubi Di Maio, Elly cessat. Perché come avevamo scritto ieri, Giorgia Meloni riesce nel suo intento. Non solo agitando un fax sul Mes approvato nottetempo dal governo Conte 2 già dimissionario convoglia tutta l’attenzione su di sé, ma riesce a sostituire nell’immaginario collettivo Elly Schlein proprio con Luigi Di Maio. Che si presenta da Formigli con un contro-fax. Che lo rispedisce dritto in politica.

La nuova guerra dei bottoni della politica del Bel(si-fa-per-dire)paese si tinge pure di giallo. Non bastassero le risse continue sugli zero virgola, mentre il nuovo capitalismo avanza a colpi di fondi sovrani da centinaia di miliardi. No, al segretario del Partito talmente democratico da delegare perfino la leadership dell’opposizione capita pure di essere eliminata dal gioco dal premier medesimo, che sta in difficoltà perché nel mezzo di una trattativa complicata con l’Europa, dove l’Italia tenta di allargare le maglie del Patto di stabilità (da ieri in accordo, almeno informale, con la Germania) in cambio della ratifica del Mes. E devo ammettere che nella mia analisi di ieri ho fatto un errore. Di buon senso. Ma pur sempre un errore.

Avevo scritto che Meloni, con il suo show in Parlamento, era riuscita a spostare l’attenzione da Schlein a Conte, riportando di fatto la patata bollente nella padella bruciacchiata del Pd. E questo indicando Conte e il suo secondo governo come l’origine di tutti i mali. Una posizione che odora di campagna elettorale, perché è in parte non sostenibile, ma pur sempre una posizione chiara, che ha come fine politico spostare l’attenzione degli oppositori del governo su Conte. A questo avevo aggiunto che, pur di rendere la minestra un po’ succosa, ci aveva tirato in mezzo Luigi Di Maio, eclissatosi (temporaneamente) dalla politica e rifugiatosi nel Golfo Persico a studiare diplomazia e finanza su mandato dell’ultimo suo mentore, Mario Draghi.

Leggendo Marco Travaglio, però, mi sono reso conto che il direttore del Fatto Quotidiano ha ragione quando dice che Meloni spara su Conte perché lo teme perfino più di Elly. Ed ecco che accade il miracolo. Corrado Formigli, giornalista di razza, riesce a convincere Di Maio (ci hanno provato anche altri, ma il conduttore di Piazza Pulita ha avuto la meglio) che un suo ritorno in tv, dopo essere stato tirato in ballo da Giorgia in persona, sia la cosa migliore da fare. E figuratevi lui, che certo ha trovato una seconda vita persica, ma rosica da morire dopo essersi fatto fregare dal vecchio Tabacci e avere distrutto una carriera politica da Masaniello in poche settimane, quanto ci avrà messo a dire di sì.

La morale è che l’ultimo capolavoro del Pd è quello di trovarsi alla viglia delle Europee con Elly Schlein che parla di minuzie, fra accuse di fascismo e messe cantate sulla superiorità morale della sinistra rispetto a Santanché e Delmastro, dimenticandosi i Buzzi e i Soumahoro di fronte ai quali i suddetti membri del governo sono Eisenhower o giù di lì. E che a fare da contraltare a Meloni ritroviamo la strana coppia Conte-Di Maio. Un deja vu che dovrebbe far tremare le vene e i polsi ai democratici, perché la voglia di tornare in politica di Di Maio è inferiore, pur di poco, solo alla voglia dei Dem di tornare al governo. L’unica consolazione è che il piano di Meloni non era preventivato. Un po’ come l’accordo della Cop28. Ma tanto è.


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