Editoriale

Il rimbalzo del Giggino

di Tommaso Cerno -


Il rimbalzo del Giggino. Se fossi Elly Schlein, mi guarderei bene lo show di Giorgia Meloni al Senato. Perché nei gesti, nei toni e nell’esibizione del corpo dentro l’aula più sacra del Parlamento mostra al Pd che cerca un antidoto a questa destra, che la strada non è quella finora intrapresa. Perché – piaccia o no – davanti a loro c’era un leader politico di un’epoca nuova. Un leader la cui natura contemporanea va ben al di là della destra storica da cui origina il suo partito, così come il linguaggio si appoggia sull’oggi del Paese con una naturalezza che indigna solo chi non ha una formula alternativa.

Non c’è alcun fascismo in quel premier donna che si fa chiamare con l’articolo determinativo maschile. C’è piuttosto l’affermazione del primato della politica sulla tecnica attraverso una sceneggiatura teatrale che è riuscita a ridare anima, rabbia, gioia, incazzatura perfino a un Parlamento di mezze tacche come quello che esce dalla peggiore legge elettorale di sempre, cioè un parlamento fatto per la grande maggioranza di yes men (and women, non sia mai che poi mi danno da patriarca) messi lì dai segretari di partito dentro liste blindate che si compongono nelle segrete stanze del potere. E che rimbalzano proprio in questi dibattitiparlamentari, dove finalmente si vede un po’ di verve, come gatti morti. Proprio la frase che Giorgia Meloni ha sparato in aula, mostrandoci che il linguaggio politico sta cambiando dopo l’era del web e dell’inglese tutti i costi. Ed è per questo che la sinistra strabuzza gli occhi. Perché era dai tempi di Berlusconi e Prodi che, pur in modo diverso, la personalità del presidente del consiglio non diventava la ragione stessa del dibattito.

E così Giorgia fa una scelta di campo: non si rivolge a Elly Schlein, bensì riesuma il governo Conte e quel ministro Di Maio (Giggino) che se n’è andato dalla politica a suon di fischi e che il premier invece accusa in aula del complotto contro gli italiani. Agita un foglio, Giorgia Meloni, un foglio che contiene a suo dire una firma dell’ex ministro degli Esteri che approva le famigerate modifiche al Mes, il nemico della destra, quando il governo dell’ex avvocato degli italiani era già bello e caduto per mano di Matteo Renzi. Come a dire che se lei sta tirando in lungo con la firma è perché la destra fa le cose alla luce del sole. E non, appunto, nella notte.

Una scelta precisa, che si esplicita in un parallelo con l’economia, che non è il vero obiettivo di Meloni. Il “rimbalzo del gatto morto”, una metafora che spiazza la sinistra e in particolare i pentastellati, che continuano a urlacchiare in aula, la famosa scatoletta di tonno che avrebbero dovuto aprire e che invece li vede da dieci anni in salamoia. Perché, al di là del dato tecnico e politico sui risultati reali del gverno Conte 2, le due parole chiave, cioè gatto e morto, non riguardano solo il Pil che sale dopo la voragine dell’anno precedente, che il premier imputa proprio a Conte, ma è soprattutto una metafora di quel che sta per succedere in questa vigilia della campagna elettorale per le Europee 2024: una grande corsa elettorale alla guida di Fratelli d’Italia durante la quale Meloni fingerà che Elly Schlein non esista, non sia il suo vero interlocutore, perché il suo obiettivoprincipale sarà spiegare agli italiani che la sinistra ha governato secondo il programma e le priorità dei grillini, e così farà ancora.

Metterà insomma al centro della scena la danza dei Cinque stelle, tutta contro Schlein, e i risultati di quel governo che lei vede come il più lontano dal suo. E su cui conta per confermarsi leader. Grazie proprio a Giuseppi e Giggino.


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