Esteri

L’INTERVISTA – D’Orsi: “America prima nel mondo, così Trump si riprenderà gli Usa”

di Edoardo Sirignano -

ANGELO D'ORSI DOCENTE


“Trump rappresenta l’America prima nel mondo perciò piace. Questo modello, però, ci porterà verso la terza guerra mondiale”. A dirlo il sociologo e storico Angelo D’Orsi.

Il vento in America è tornato a favore dell’ex presidente conservatore?

Tutti i sondaggi lo vedono in vantaggio. Quest’aspetto certamente ci lascia perplessi, considerando che Trump mentre fa i comizi risponde agli interrogatori in tribunale, anzi si permette di insultare addirittura la pubblica accusa. Possiamo dire che l’America è davvero strana.

Quale fascia di elettorato vuole un suo ritorno?

Non è facile capirlo. Una cosa è certa, lo voteranno tutti gli scontenti di Biden. Trump, anche a livello visivo, rappresenta il suo opposto. Mentre l’attuale presidente appare un signore da ricovero coatto, quasi incapace di intendere e di volere, il suo avversario, pur avendo una certa età, mostra forza, vigore e arroganza. Rappresenta l’America prima nel mondo. È lo slogan, d’altronde, che gli aveva consentito di vincere in passato. La stranezza, piuttosto, è la mancanza di una terza possibilità. Un partito democratico messo male non riesce a trovare un’alternativa a Biden. Stesso discorso vale per i repubblicani.

La guerra in Ucraina ha favorito il ritorno di Donald?

Sono convinto che Trump dica il vero quando sostiene che la guerra non sarebbe scoppiata se fosse stato al potere, così come quando afferma che potrebbe far terminare il conflitto in ventiquattro ore. Magari non è sufficiente un giorno, ma qualche settimana basta e avanza.

Medesimo ragionamento vale per Israele?

La situazione, in questo caso, è più complessa. La lobby ebraica è molto potente negli Usa. Nessun candidato può permettersi il lusso di scontentarla. Non dimentichiamo che lo stesso Trump se sulla Russia ha una posizione aperta, anche grazie al rapporto personale con Putin, sulla questione mediorientale, invece, ha una posizione di intransigenza. Non a caso è stato il primo a riconoscere lo spostamento della capitale politica di Israele da Tel Aviv a Gerusalemme.

Quanto la giustizia sta aiutando l’ex presidente a riprendersi lo Studio Ovale?

La giustizia, a mio avviso, lo sta aiutando. Trump ha la capacità di far passare i processi come una persecuzione frutto di una manovra politica. Hanno paura di lui e quindi cercano di fermarlo. Era un po’ quello che diceva Berlusconi quando aveva processi a profusione. C’è una parte dell’elettorato che finisce per credere a tale narrazione e quindi vede in Donald l’eroe che viene sconfitto non dal voto, ma da altro.

L’America, intanto, è sempre più divisa in due blocchi. Ciò è una debolezza agli occhi del pianeta?

L’America mostra i muscoli perché debole. Perde egemonia e intende sostituirla con l’accentuazione del dominio. Gli oltre cento miliardi di dollari inviati a Zelensky, però, hanno finito con l’incidere pesantemente sul budget americano, svuotando nei fatti gli arsenali. Appare un’evidente fragilità, tanto è vero che nessuna delle iniziative politiche-diplomatiche statunitensi riscuote successo.

Gli americani, ad esempio, sono preoccupati per il deterioramento dei rapporti tra Washington e Pechino…

Su tale aspetto Biden e Trump sono d’accordo. Vedono nella Cina, come già sostenuto da Kissinger, un nemico. La debolezza degli Usa si vede dal fatto che questi ultimi continuano a comportarsi come se fossero la sola super-potenza mondiale, senza rendersi che quattro quinti dell’umanità non si riconosce nelle scelte di un gruppetto di paesi euro-atlantici.

C’è, dunque, mancanza di visione?

Assolutamente! Le conseguenze di questa politica ricadranno solo sugli Usa, mentre il mondo dei Brics crescerà giorno dopo giorno sotto tutti i punti di vista, non solo commerciale, ma anche finanziario e perfino monetario. La sostituzione del dollaro come moneta universale è ormai inarrestabile.

Tale processo non rischia di portarci verso la terza guerra mondiale?

Aumenta la possibilità di conflitto quando c’è un solo gestore dell’ordine mondiale. Viene a ridursi, al contrario, quando c’è un equilibrio tra poteri. L’idea che solo gli Stati Uniti possano decidere il bello e il cattivo tempo del pianeta mostra le sue crepe.


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