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Emiliano Brancaccio: “Conflitto di civiltà? No, scontro interno al grande capitale”

di Giovanni Vasso -

EMILIANO BRANCACCIO ECONOMISTA


 

Altro che guerra dei mondi, altro che scontro di civiltà. Tra l’Occidente e la Russia si combatte una guerra tutta interna al capitalismo globalizzato. Un braccio di ferro tra Paesi esportatori e Paesi importatori, creditori e debitori, che si snoda tra strategie geopolitiche, scontri che sfociano nel conflitto aperto, come quello che sta insanguinando l’Ucraina, in un’escalation che non si sa a cosa ci porterà. O forse sì. Emiliano Brancaccio, professore associato di politica economica all’Università del Sannio, è autore – insieme a Raffaele Giammetti e Stefano Lucarelli – di un importante libro “La guerra capitalista” (edito da Mimesis) che offre una chiave interessantissima delle ragioni alla base del conflitto tra Mosca e Kiev. E che discendono dalle dinamiche del capitale internazionale. Partendo da quello che è l’ennesimo paradosso della contemporaneità: Karl Marx è tornato di moda. Già, ma nei circoli doratissimi della grande finanza internazionale, di quelli che una volta si sarebbero chiamati “padroni”.
Nel vostro libro, “La guerra capitalista”, notate che ormai sembra più facile “incontrare” Marx a Davos piuttosto che alla festa dell’Unità. Come mai? Che è accaduto?
“In effetti quello di Marx è un destino bizzarro. Le sue capacità di premonizione vengono oggi largamente riconosciute dai media della grande finanza internazionale, al punto che il Financial Times nell’ultimo quindicennio ha evocato il suo nome in oltre 4500 articoli. Al contrario, gli eredi più o meno degni del movimento operaio e i vari tribuni degli oppressi di questo tempo sembrano tuttora affannarsi a precisare che non l’hanno mai nemmeno letto. Per usare una sanguigna espressione, è un po’ come se il genio di Marx fosse stato “rapito dal nemico di classe”. A tutto vantaggio del nemico, ovviamente”.
Voi insistete soprattutto su una tesi marxiana fondamentale: una tendenza verso la centralizzazione del capitale in sempre meno mani, con effetti non solo economici ma anche politici. Che vuol dire e quali conseguenze sono da temere per i cittadini comuni?
“La tendenza teorizzata da Marx trova oggi importanti conferme empiriche. Nel libro segnaliamo che oltre l’ottanta percento del capitale azionario mondiale è controllato da meno del due percento degli azionisti totali, e questo club esclusivo di grandi proprietari tende pure a restringersi ulteriormente nel tempo. E’ chiaro che una tale concentrazione del potere economico, a lungo andare, porta con sé anche una concentrazione in poche mani del potere politico. Le conseguenze possono essere letali per la stessa democrazia”.
E persino per la pace, stando alle tesi del vostro libro. Sull’Ucraina, per esempio, il racconto “ufficiale” è quello dello scontro tra due visioni del mondo, due weltanschauung divergenti e inconciliabili: l’occidente liberale contro l’oriente delle autocrazie. Ma voi contestate questa narrazione e parlate di una guerra tra capitalisti. In che senso?
“La globalizzazione degli anni passati ha lasciato in eredità un colossale squilibrio nei rapporti internazionali: la Cina, i paesi arabi esportatori e in parte anche la Russia hanno consolidato una posizione di credito verso l’estero, mentre gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri paesi occidentali hanno accumulato pesanti debiti verso l’estero. La risposta americana e occidentale a questo squilibrio è stata la svolta protezionista, verso le merci e verso i capitali provenienti da oriente. Ma, come spesso è avvenuto in passato, le svolte protezioniste degli uni possono scatenare le reazioni militari degli altri e le conseguenti contro-reazioni, in una precipitosa catena di eventi bellici. Il conflitto in Ucraina va inscritto in questo scontro epocale tra grandi blocchi capitalistici. Altrimenti non si comprende nulla dei fattori strutturali che alimentano le guerre moderne”.
Esiste un modo per interrompere l’escalation militare?
“Bisognerebbe recuperare la logica dell’accordo di Bretton Woods del 1944 per cercare un criterio di regolazione, politica e pacifica, degli enormi squilibri economici accumulati negli anni passati. Certo, va ricordato che quella soluzione di “capitalismo illuminato” venne raggiunta solo dopo due guerre mondiali e sotto il pungolo della minaccia sovietica. Il problema di questo tempo è capire se si riesca a raggiungere una soluzione di quel tipo prima che scoppi una nuova grande guerra e nell’assenza di una concreta minaccia rossa”.
Gli aumenti delle materie prime, i prezzi e la guerra planetaria dei costi. Cosa è oggi l’interdipendenza?
“E’ la riprova che viviamo in un sistema ormai troppo complesso per essere lasciato al gioco delle cosiddette “libere” forze del mercato. Per quanto i benpensanti di questo tempo possano trovarlo disturbante, penso che saremo costretti a ridiscutere di regolazione politica del sistema, e persino di pianificazione pubblica”.

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