FdI ha i voti, il Carroccio i governatori. Il nodo Veneto accende la partita “Serve il riequilibrio nel centrodestra”
Il risultato delle Marche ha il sapore di una resa dei conti interna al centrodestra. Francesco Acquaroli viene rieletto con un margine largo, Fratelli d’Italia si conferma primo partito con il 27,41%, Forza Italia cresce, le liste civiche si rafforzano. Ma la fotografia politica è segnata da un dato: la caduta verticale della Lega. Dal 22,4% del 2020 al 7,4% di oggi, un’emorragia di 98mila voti, due terzi del consenso di allora. In Valle d’Aosta, altra consultazione dello stesso giorno, il Carroccio ha replicato lo stesso copione: dal 23,9% di cinque anni fa all’8,4%. Il centrodestra vince, ma vince malgrado la Lega. Eppure Matteo Salvini, stretto tra un consenso che arretra e una leadership che fatica a reggere, continua a giocare la partita del Veneto. Lì, a novembre, scadrà il mandato di Luca Zaia, e la scelta del candidato diventa banco di prova cruciale per la coalizione. Può davvero la Lega rivendicare la candidatura dopo simili sconfitte? La logica aritmetica direbbe di no. Ma la politica non si muove solo sulle percentuali: pesa la storia, il radicamento, e soprattutto l’esigenza di mantenere gli equilibri dentro una maggioranza che governa il Paese. Ieri Zaia, incontrando i giornalisti a Venezia, ha mostrato prudenza: “Non ho nessuna notizia sul candidato, vedremo cosa deciderà il tavolo romano”. Parole che rimandano la decisione a Roma, tra Meloni, Salvini e Tajani. Sul tavolo c’è il nome di Alberto Stefani, giovane parlamentare della Lega e uomo di fiducia di Salvini. Ma Fratelli d’Italia può giocare carte di peso ben diverso: Luca De Carlo, senatore e coordinatore veneto del partito, e Raffaele Speranzon, capogruppo in Consiglio regionale, due figure con esperienza politica e amministrativa molto più solida rispetto a Stefani. Per i meloniani sarebbe un azzardo lasciare spazio a un profilo inesperto in una regione strategica come il Veneto, quando in casa hanno candidati rodati e riconoscibili? Non è un caso che negli ambienti di via della Scrofa si insista da mesi sul riequilibrio: “Non possiamo governare solo in due Regioni, mentre la Lega ne ha quattro e Forza Italia cinque”. Il messaggio è chiaro: Fratelli d’Italia vuole più governatori. La vittoria nelle Marche è il trampolino per rivendicare nuove posizioni. E allora la domanda si fa bruciante: Giorgia Meloni concederà il Veneto alla Lega, o userà il risultato marchigiano come leva per ribaltare gli equilibri? La risposta sta nella logica del compromesso. Meloni sa che rompere ora significherebbe lacerare la coalizione alla vigilia di altre prove, in Calabria, Puglia e Campania. Sa che Zaia, pur non candidabile, resta il “totem” capace di garantire consenso. Sa, soprattutto, che un centrodestra diviso rischierebbe di pagare caro anche nei test amministrativi. E allora, paradossalmente, proprio la debolezza della Lega potrebbe convincere Meloni a concedere un candidato veneto al Carroccio. Non come atto di generosità, ma come calcolo: salvare Salvini oggi per avere mano libera domani, magari in Lombardia o in altre regioni chiave. Il punto di equilibrio sarà trovato in un vertice che tutti evocano ma che nessuno ancora convoca. A Lamezia Terme, a margine del comizio per Occhiuto, i leader potrebbero già chiudere. La partita vera però è un’altra: in politica non basta vincere: bisogna saper tenere insieme. E il centrodestra, dopo le Marche, lo ha capito ancora di più.
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