Editoriale

Fra Colle e folle

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Più migranti regolari. Parole che trovano nella realtà il proprio ossimoro. Mai come adesso gli sbarchi sono alti. Mai come adesso l’incapacità di gestione del fenomeno migratorio in Europa è evidente a tutti. È bello sapere che esiste lassù, sul Colle, un equilibrio e una politica che non ha lo scontro a tutti i costi come ingrediente. Ma bisogna anche dirsi la verità. Non tutte le parole che pronuncia il Capo dello Stato Sergio Mattarella si possono realizzare nella realtà. Perché l’Italia che vorremmo è molto distante da quella che possiamo. Ed è facile parlare di assenza di programmazione o di un Parlamento che guarda solo al proprio particolare.

Senza però dirci con altrettanta franchezza che così, fra una cosa e l’altra, negli ultimi tre anni è caduta sulle spalle e sulle tasche della più vasta parte della popolazione normale una pandemia planetaria e una guerra che sta diventando mondiale. Sembra quasi che tutto questo non riguardi chi sta lassù. E probabilmente è vero. Ma quaggiù sulla terra è bastato un libro di un generale che vuole cambiare lavoro, intelligente e furbacchione, Roberto Vannacci, per far nascere in poche ore un partito politico e una corrente di opinione, che sembrano riempire vuoti che si erano creati senza che nessuno intervenisse per colmarli.

Quindi è legittimo domandare con lo stesso garbo istituzionale con cui il presidente Mattarella si è sempre espresso dall’inizio del suo primo mandato rivolgendosi al Parlamento e anche alla nazione se potesse dalla sua alta esperienza e dalla conoscenza dettagliata dei fatti che certamente un Capo di Stato ha rispondere anche a questa questione. In un Paese dove la rabbia cova così tanto da scatenare un incendio per una scintilla che qualche anno fa sarebbe passata inosservata alle cronache, di opinionisti e soprattutto di cittadini indaffarati a tirare sull’euro e ad arrivare a fine mese, forse quell’odio a cui fa riferimento il presidente andrebbe chiamato con il suo nome. Che è più rassegnazione che risentimento. E non si tratta di un odio contro l’altro, ma di una rassegnazione a vedere puntata l’attenzione della politica sempre sui problemi di qualcuno diverso da noi, come se tutta questa mutazione delle condizioni economiche e sociali del Paese non ci riguardasse, come se proseguissimo un progetto cominciato in quegli anni di inizio 2000 in cui la prospettiva per le famiglie di Italia ed Europa era di una crescita economica e di un potenziale di futuro che oggi è un lontano ricordo sbiadito.

Mi rendo conto che in un Parlamento dove qualunque parola dica Alfa non va bene Omega, indipendentemente dal contenuto e soprattutto nella chiara manifestazione di impotenza dialettica che ormai la nostra democrazia ci dà, la ragione profonda della sua inefficacia, c’è bisogno di un equilibrio e di un arbitro. Però mi sento di dire con il massimo rispetto per la più alta carica dello Stato che dentro le parole di principio gli italiani vogliono cominciare a vedere qualche soluzione. E siccome da 25 anni quelle parole le ripetiamo e le sentiamo dire, ma di soluzioni ne abbiamo viste zero, viene il dubbio che come con la guerra in Ucraina siano più importanti le parole dei fatti.

Per cui nel nome della Pace si può fare la guerra. E nel nome della democrazia si possono calpestare tutte le parole più alte su cui abbiamo costruito la nostra Costituzione e l’idea di un mondo in cui l’Occidente non era il padrone, ma piuttosto ispiratore di un progresso. Anche questo sembra un mondo sbiadito e lontano che sta lasciando il posto a qualcosa che finora nessuno ci aveva raccontato. Ma che è reale e incide sulle nostre vite. Non scatena in noi nessun tipo di odio, non ci fa alzare nessun muro ma ci fa dire, esattamente come la questione migranti da 25 anni, che, con gli ingredienti dati, in questo paese nessuno, e ripeto nessuno, una soluzione ce l’ha.


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