Primo Piano

Fra Scudetto e Camorra

di Eleonora Ciaffoloni -


“Napule è mille culure” cantava Pino Daniele, ma Napoli dalle 22 e 37 di giovedì sera Napoli è solo azzurra. Un’attesa lunga 33 anni ma concentrata in una stagione da record, permeata dal gioco frizzante di Luciano Spalletti, dalla visione da spending review di Aurelio De Laurentiis e perché no, dalle grandi intuizioni del direttore sportivo Cristiano Giuntoli, con il coniglio di nome Kvaratskhelia uscito dal cilindro del calciomercato. Un’esplosione di gioia che è partita dal triplice fischio di Udine e che si è propagata al capoluogo partenopeo e a tutto il mondo, ovunque battesse un cuore azzurro, accelerato dalla gioia più grande dopo il sogno targato Diego Armando Maradona.
Un sogno che è tornato dalle parti del Vesuvio dopo tanti anni vissuti da provinciale a rincorsa delle grandi e a uno scudetto tanto agognato ma solo sfiorato nel 2018. Ma non è solo lo scudetto del Napoli, è lo scudetto di Napoli e di un popolo che non ha mai smesso di crederci e che ha cominciato a festeggiare – nonostante la famosa attitudine alla scaramanzia – da settimane, in cui quel tricolore sul petto era già diventato realtà. E la città si è colorata non appena ha capito che quell’attesa stava per finire: un popolo che ha avuto fiducia e ha dato tutto il supporto possibile. Una città che ha messo in moto quattro generazioni per abbellire strade, piazze, balconi e palazzi, una città che ha portato allo stadio nonni e nipoti, bambini appena nati e già acchittati con la maschera del bomber Oshimen.
Un entusiasmo che è stato tenuto – quasi del tutto – a bada fino a giovedì sera, quando la festa è iniziata: Udine, Napoli, Milano, Londra, Parigi New York, ovunque nel mondo si è vista una bandiera azzurra sventolare nella notte (o nel giorno) dei festeggiamenti. Si è festeggiato a ogni fuso orario, dalla Georgia – patria del fantasista Kvaratskhelia – alla Corea del Sud, Paese d’origine del difensore Kim, fino all’Argentina, che ha accolto lo scudetto napoletano festeggiando in ricordo di Maradona.
Dai fuochi d’artificio che hanno illuminato il golfo, ai clacson e i cori che hanno animato le strade, fino alle barche “da terra” costruite per navigare la città da cima a fondo. Una notte insonne che ha tenuto sveglio anche chi del calcio – e spesso tiene a sottolinearlo – non importa niente. Perché non è solo una vittoria sportiva, è la rivincita di un popolo che vive il calcio come una via di fuga, come una visione del bello in una vita che spesso è difficoltosa, soprattutto per quelle città che provinciali non sono ma che vengono vissute come tali.
Napoli è mille colori, ma è anche la città dalle mille contraddizioni. E così, anche la festa più bella e più attesa, ha visto compiersi una tragedia. La morte di un ragazzo di 26 anni durante i festeggiamenti della notte ha macchiato di rosso le strade partenopee. Ma non si tratta di un incidente: Giuseppe Costanzo è stato colpito da più colpi di arma da fuoco ben indirizzati. Un agguato destinato e ben organizzato nei confronti del figlio di uno dei boss della criminalità organizzata locale. Una scusa, quella dei festeggiamenti, per un regolamento di conti in piena regola, che però non ha nulla a che vedere con un popolo in festa per la notte più bella del mondo. A confermarlo anche il prefetto di Napoli, Claudio Palomba che ha dichiarato: “l’episodio è del tutto slegato dai festeggiamenti”.
Ma è morto un ragazzo, ed è l’ennesima ferita che si è aperta nella gioia, che a Napoli anche nei momenti più belli sembra non poter mai essere totale. Una sparatoria che non è stata un gesto pazzo di un tifoso su di giri, ma un atto di quella malavita che sfrutta queste occasioni di caos e felicità per colpire quando le difese si abbassano. Un delitto funesto che però non può intaccare la festa di calcio e la gioia di un popolo, che ha atteso oltre tre decenni per il tricolore.
E ora la festa ha il diritto – e il dovere – di continuare, per giorni, per notti, o almeno fino a domenica, la giornata dei grandi festeggiamenti che uniranno, ancora una volta, una squadra e una città in quello stadio che porta il nome di chi a Napoli ha fatto la storia. Una vittoria storica che rimarrà negli annali del calcio italiano e nella mente di tutti i napoletani. Napoletani che sono riusciti a tramandare di generazione in generazione una passione travolgente per cui nessuno si stente escluso. Siamo certi che anche i bambini al loro primo scudetto, saranno portatori, in futuro, di quello che il Napoli è e quello che rappresenta. Sembra una storia da romanzo, ma come direbbero proprio i partenopei: “Se non sei di Napoli non puoi capire”


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