Giornata Mondiale della Salute Mentale. Intervista alla presidente della LIRH (Lega Italiana Ricerca Huntington), Dottoressa Barbara D’Alessio
Quali sono le priorità più urgenti che LIRH identifica per garantire servizi territoriali più accessibili ed efficaci?
“I servizi territoriali dovrebbero avere a disposizione più risorse umane, lavorare in una logica di rete multidisciplinare e ricevere più formazione per distinguere condizioni di disagio individuale o sociale legate a situazioni ‘normali’ da condizioni in cui il disagio mentale è invece espressione di una condizione patologica. Molte malattie rare, ad esempio, portano con sé disturbi psichiatrici, o sono associate a disagio mentale e oltre il 50% delle persone colpite non ha mai ricevuto supporto psicologico nel proprio cammino di diagnosi e presa in carico (Rare Barometer Voices 2017). Questi dati trovano conferma anche nella malattia di Huntington, rara, genetica, ereditaria, neurodegenerativa che coinvolge circa 50 mila individui in Italia (tra persone ammalate e persone a rischio di ammalarsi), con importanti risvolti psichiatrici, tanto da essere la malattia che registra il più alto tasso di suicidi al mondo (casi 10 volte superiori rispetto alla media). Non sempre i servizi territoriali hanno piena consapevolezza delle tante e diverse sfaccettature che si nascondono dietro alla parola ‘salute mentale’, che cambia connotazione a seconda del fatto che si associ o meno ad una condizione patologica specifica e richiede pertanto interventi multidisciplinari personalizzati che non dovrebbero mai essere soltanto ‘medici’, ma sempre socio-sanitari. I servizi territoriali, inoltre, farebbero bene a coinvolgere i pazienti stessi e i loro caregiver nella loro attività, come “pazienti esperti”. Gli ESP (Esperti per Supporto tra Pari) sono persone che, avendo vissuto un disagio psichico e recuperato il proprio benessere, mettono la propria esperienza al servizio di altre persone con problemi di salute mentale, intervenendo prima ancora delle figure mediche e fungendo da mediatori tra cittadini utenti e operatori, grazie alla fiducia derivante dal proprio sapere esperienziale. Gli ESP frequentano corsi di formazione specifici che li preparano a svolgere questo ruolo. Questo modello è applicato in Trentino-Alto Adige e varrebbe la pena replicarlo in tutte le regioni”.
Lo stigma rimane uno degli ostacoli principali per chi soffre di disturbi mentali. Quali strategie devono essere implementate per combattere pregiudizi e discriminazioni?
“Con nostra grande sorpresa, il Piano Nazionale per la Salute Mentale riserva allo stigma soltanto un breve paragrafo, nonostante sia la principale causa di discriminazione e isolamento sociale. Lo stigma non è soltanto sociale, ma anche individuale. Non a caso si parla di ‘self-stigma’, lo stigma che deriva da ciò che le persone pensano di se stesse e da come percepiscono se stesse in relazione alla loro condizione, per cui i primi a vergognarsi della propria malattia mentale sono le persone che la vivono. Quanto ai pregiudizi, sono frutto dell’ignoranza, perché non viene accettato ciò che non si comprende e non si comprende ciò che non si conosce. A mio avviso, i pregiudizi si contrastano attraverso la cultura, l’educazione, la formazione e l’informazione che devono però essere continue, costanti, coerenti e supportate da azioni concrete. I comportamenti valgono più di mille discorsi. Dovrebbero esserci comportamenti di accoglienza da parte dai datori di lavoro, dei colleghi, dei superiori, come anche degli insegnanti, dei dirigenti scolastici, dei medici ma anche degli infermieri, degli OSS e naturalmente delle associazioni dei pazienti e dei familiari. Ma l’esempio più forte non può che venire dalla Istituzioni. I comportamenti che alimentano i pregiudizi sono ancora troppo frequenti e dovrebbero essere modificati attraverso un profondo cambiamento culturale, che va sostenuto con forza a tutti i livelli, dalla scuola dell’infanzia alla comunicazione mediatica. Da questo punto di vista, sicuramente la promozione e il finanziamento di campagne di informazione e comunicazione istituzionali per attenuare l’insorgenza di disturbi mentali, per rendere i pazienti e caregiver più informati e consapevoli delle opportunità di cura possono contribuire ad abbattere pregiudizi e stigma”.
In questa Giornata Mondiale della Salute Mentale, quale messaggio vorrebbe lanciare sull’importanza della prevenzione e dell’intervento precoce?
“Prevenire l’insorgenza di un disagio mentale o intervenire tempestivamente quando cominciano le prime avvisaglie è possibile solo se ci sono figure in grado di svolgere il ruolo di ‘sentinelle’. È assolutamente necessario intensificare e rendere il più capillare possibile la comunicazione sulla salute mentale affinché anche figure non tecniche possano essere in grado di svolgere questo ruolo: pensiamo ai nonni, a genitori, agli insegnanti etc. Dall’altro lato, andrebbe valorizzata la figura dello psicologo di comunità, che potrebbe essere un primo punto di contatto, ascolto e orientamento. Purtroppo, l’età media delle persone con disagio mentale si è notevolmente abbassata, per cui l’attenzione al benessere mentale deve essere rivolto anche ai bambini, a maggior ragione se vivono in famiglie in cui sono presenti disagi sociali o, peggio ancora, malattie severe, come nel caso della malattia di Huntington. Un nostro recente studio ha dimostrato che i figli cresciuti in famiglie in cui è presente questa malattia rara sono più esposti, da adulti, ad esperienze di violenza, trascuratezza emotiva e fisica, disagio psicologico, sentimenti di tristezza e perdita, tendenza all’isolamento sociale e alla sensazione di estraneità rispetto al contesto in cui vivono”.
Quale ruolo possono e devono giocare le associazioni come LIRH nel supportare il Piano Nazionale per la Salute Mentale e nel costruire una rete di sostegno più capillare sul territorio?
“Le organizzazioni dei pazienti e dei familiari – se operano in piena sinergia con gli operatori e con il territorio, senza cedere a logiche di autoreferenzialità – possono certamente rafforzare e integrare la rete di sostegno in maniera molto efficace, perché la loro esperienza e il loro punto di vista, basati sull’esperienza, diventano complementari rispetto a quelli degli specialisti. Ancora una volta, esistono delle buone pratiche, stavolta al sud: il Dipartimento di Salute Mentale della ASL Napoli 2 Nord ha istituito una consulta dipartimentale composta da pazienti e familiari che si interfacciano regolarmente con il Dipartimento, promuovendo proposte e iniziative che avvicinino le persone con problemi mentali e psichiatrici alla comunità, perché continuino a sentirsi parte della comunità. La vera sfida, infatti, è quella di coinvolgere il territorio, la comunità, nella presa in carico delle condizioni di disagio mentale, qualunque ne sia la causa”.
Il Piano Nazionale prevede investimenti significativi. Ritiene che le risorse stanziate siano sufficienti per colmare le lacune del nostro sistema di salute mentale? Quali garanzie chiede LIRH affinché questi fondi vengano effettivamente destinati ai servizi e non dispersi?
“Da quel che ci risulta, il Piano non prevede risorse economiche e questo è il suo principale punto di debolezza. Auspichiamo che, almeno a partire dal 2026, possano essere previste in bilancio risorse dedicate, in maniera da poter dare ‘le gambe’ a quella che è una visione condivisibile, cioè ‘sdoganare’ la salute mentale e rimettere al centro la persona con fragilità mentale, sana o malata che sia”.
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