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Gli 800 giorni di Carlo. Il più lungo sequestro nella storia d’Italia al Festival di Venezia

di Ivano Tolettini -


È una delle notti oscure della storia della Repubblica, quella dell’Anonima Sequestri, da metà degli anni Settanta all’inizio dei Novanta, quando 500 italiani vengono sequestrati per finalità politiche o nella maggior parte dei casi dalla criminalità organizzata per ottenere il riscatto. Molti dei rapimenti furono eseguiti dalla ‘ndrangheta che riciclava i soldi per impadronirsi del narcotraffico. Pagine nere dell’Italia. Molti rapiti non fecero mai ritorno a casa. L’unica loro colpa era di essere perlopiù ricchi. Il regista vicentino Dennis Dellai con il film 800 giorni, liberamente tratto dalle vicende del più lungo sequestro italiano, quello appunto di Carlo Celadon, rampollo di una famiglia industriale veneta di Arzignano, che durò 831 giorni (dal 25 gennaio 1988 al 4 maggio 1990), rinnova con la sua terza opera proiettata oggi a Venezia la memoria di un periodo terribile dell’Italia contemporanea, quando lo Stato mise a punto strumenti idonei – come il blocco dei beni unito alla tecnologia dei telefoni che cambiava pelle – per stroncare il fenomeno, con il lungometraggio che sbarca oggi alla Mostra del Cinema di Venezia.

“L’obiettivo del film è di conservare la memoria di un periodo tragico – racconta Dellai – che i giovani non conoscono, dimenticato dai più, riportato a galla attraverso una vicenda vera che però è riadattata, in parte inventata per esigenze cinematografiche”. Girato quasi tutto nel Vicentino, annovera nel cast anche Fabio Testi nel ruolo del basista veneto, e vede come protagonisti il giovane Matteo Dal Santo nel ruolo di Paolo (la vittima Carlo), Vasco Mirandola di Mediterraneo e Il Toro, e Marta Dal Santo nel ruolo della fidanzata del rapito. La narrazione rivisita il punto di vista della fidanzata, che ebbe un ruolo inconsapevole importante nella realtà perché Celadon raccontò che se tenne duro durante in quei due anni in cui la sua vita venne rinchiusa come un verme in un buco sotterraneo dell’Aspromonte, fu grazie al pensiero dell’amata che gli diede la forza morale di superare traversie al limite dell’umano.

Il certosino lavoro di Dellai, che nella vita è caposervizio a “Il Giornale di Vicenza”, muove da una ricostruzione minuziosa dei luoghi, grazie a una sceneggiatura puntuale che parte dalle indagini, per agire nelle pieghe delle torture psicologiche cui venne sottoposto il ragazzo, che si rifà a materiale investigativo, compreso l’audio di una cassetta originale mandata dai sequestratori alla famiglia per chiedere il riscatto. Che venne pagato in due tranche per complessivi 5 miliardi di lire. “È come avessimo preso tanti documenti del caso Celadon e li avessimo inseriti in una storia inventata – conclude Dellai -, dunque per forza di cose diversa, anche se giocoforza il parallelismo narrativo e il registro artistico sono affini”.


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