Primo Piano

PRIMA PAGINA – Il no dell’Italia agli Stati Uniti e il rischio guerra globale

di Ernesto Ferrante -


L’Italia non ha partecipato ai bombardamenti condotti nella notte tra giovedì e venerdì dagli Stati Uniti contro i ribelli Houthi in Yemen. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha spiegato che Roma era stata informata dell’attacco dagli Usa “parecchie ore in anticipo”, ma che non ha avuto un ruolo attivo nell’operazione “perché non possiamo mettere in atto azioni di guerra senza un dibattito in Parlamento”. Pur avendo ribadito “il sostegno politico dell’Italia a quest’azione” di difesa “del traffico marittimo internazionale”, Tajani ha di fatto ufficializzato la nuova “postura” dell’esecutivo meloniano rispetto a quanto sta avvenendo. Troppo poco per parlare di autonomia strategica, ma allo stesso tempo abbastanza per capire che vi è una riflessione in corso, non limitata al solo nostro perimetro nazionale. Prosperity Guardian, avviata a metà dicembre dal governo statunitense con l’obiettivo di garantire la sicurezza delle navi commerciali che transitano nel mar Rosso, il cui lavoro è fortemente minacciato dal lancio di missili dei ribelli Houthi, come ritorsione per l’invasione israeliana della Striscia di Gaza, rischia di essere caratterizzata fin da subito da una evidente sproporzione tra “costi” e “ricavi”.

Il contributo italiano ad alcune discussioni “su come rafforzare la presenza dell’Unione europea nel mar Rosso”, di cui ha parlato il ministro azzurro, con la possibilità di estendere il “mandato di operazioni già esistenti” o “l’attivazione di una nuova missione europea” per proteggere le navi commerciali che attraversano il mar Rosso, che spesso risalgono il canale di Suez e arrivano nei porti europei del mar Mediterraneo, palesano il tentativo di una parte della classe dirigente del Vecchio Continente di porre rimedio agli errori degli ultimi anni, cristallizzati nel flop politico-commerciale-militare ucraino. I raid aerei condotti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna sullo Yemen non hanno avuto un impatto significativo sulla capacità dei miliziani sciiti di impedire alle imbarcazioni vicine a Israele di attraversare il Mar Rosso e il Mar arabico. E’ quanto ha sostenuto il portavoce degli Houthi Mohammed Abdulsalam citato dall’emittente al-Arabiya. Al “nemico anglo-americano” è stata promessa “una risposta forte ed efficace”. L’accelerazione militare volta a rendere più sicuro lo stretto di Bab el Mandeb, attraverso il quale passa circa il 12% del commercio mondiale, ha suscitato freddezza e mugugni anche negli stessi Stati Uniti. Diversi esponenti dei Democratici hanno accusato accusato il commander in chief Joe Biden di averli trascinati nell’ennesima guerra. Critiche anche dai Repubblicani.

Durissimo Donald Trump: “Lanciamo bombe in Medio Oriente (dove io ho sconfitto l’Isis) e il nostro segretario alla Difesa, dopo che è sparito per cinque giorni, è alla guida della guerra dal suo computer in una stanza di ospedale. Ricordatevi che questa è la stessa gang che si è arresa in Afghanistan”. “Ora abbiamo guerre in Ucraina, Israele e Yemen ma nessuna guerra al nostro confine sud”, ha attaccato il tycoon, riferendosi esplicitamente all’emergenza migranti dal Messico. Per la deputata Rashida Tlaib, il presidente ha violato la Costituzione non avendo consultato il Congresso prima degli attacchi, mentre per un altro dem, il deputato della California Ro Khanna, Biden ha coinvolto l’America in nuovo conflitto in Medio Oriente. Polemiche anche in Gran Bretagna. Il partito indipendentista scozzese ha attribuito al premier Rishi Sunak la responsabilità di aver aggirato il Parlamento, mettendo in discussione la legittimità dell’intervento “extra Onu e Nato”. Lo Yemen, diviso per zone di influenza tra gruppi filo Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, può rappresentare una trappola mortale per un’Europa vittima di veti incrociati tra i suoi leader e priva di una seria politica industriale e militare. E qualcuno l’ha capito.


Torna alle notizie in home