Editoriale

Il regime del banale

di Tommaso Cerno -


C’è un nuovo regime. Il regime del banale. Un luogo dove esiste una verità, nel nome della quale gli uomini si fanno pecoroni. E’ l’Occidente democratico, a parole, che dal Covid all’Ucraina, fino a Israele ci mostra il suo veleno: la fine della sua libertà. La prima vittima resa al nemico islamista, quello che copre le donne sotto quintali di veli, quello che ha una sola verità rivelata, quello che toglie di mezzo le differenze. Noi non abbiamo certo integrato loro, ma è evidente il contrario, sembra proprio che quel modo di vivere ci piaccia perché in fondo è semplice, tutti dicono la stessa cosa, tutti credono di avere in tasca la verità. E così il mondo dei complessi si è adeguato, calpestando secoli di filosofia, decenni di battaglie per la libertà, anni di scontri ideologici e dialettici che segnavano la differenza fra la nostra società e la loro. E che oggi ci vedono inseguire i peggiori sistemi del mondo non solo sul piano militare, come sappiamo il mondo è in guerra, ma perfino su quello culturale.

Lo mostra in modo plastico il caso di Moni Ovadia, spinto da questo regime del banale alle dimissioni dalla cosa che sa fare meglio, dirigere un teatro, lui che sul palco ha raccontato all’Italia e all’Europa la cultura ebraica e il Medio Oriente meglio di tutti. Zigzagando fra le contraddizioni che noi, invece, trasformando le quattro nozioni di storia che abbiamo imparato da Google abbiamo trasformato in solide verità. Fra le risate generali di un pianeta che ci guarda e si domanda dove diamine sia finita la democrazia occidentale che per secoli aveva guidato il mondo. Non ci rendiamo conto che così facendo abbiamo già perso la guerra dei tempi moderni. Non capiamo la banale nozione per cui se noi crediamo davvero che la verità sia una e che essa sia rivelata il nostro tempo è finito, la nostra civiltà consunta. Noi siamo l’opposto di ciò che stiamo affermando da anni. Noi stiamo mostrando a tutti la nostra crisi di identità e di forza.

E in queste condizioni siamo destinati a soccombere sotto i nostri stessi colpi. Noi siamo quelli che si battevano perché Ovadia potesse parlare, oggi siamo quelli che lottano perché taccia. Proprio come degli imam fanatici qualunque, invasati dalla loro dottrina di decadenza, convinti di stare nella ragione e convinti che la ragione abbia solo una voce e poche parole per esprimersi. Invece che essere loro a cacciare Ovadia perché è un uomo libero, siamo noi che lo mandiamo via. Noi che abbiamo costruito la nostra convivenza sulle differenze. Noi che fingiamo di non vedere il crimine quando si tratta degli altri, imbevuti di un’idea di uguaglianza che ormai è qualunquismo. E poi censori di ogni sfumatura fuori dal pensiero di maggioranza quando si tratta di noi stessi.

In fondo basta guardare la bestia dormiente che è diventata l’Europa. Piena di idee brillanti e incapace di far progredire i suoi popoli. Piena di teoria e incapace di mettere in pratica il progresso. Piena di paroloni come democrazia ma incapace di portare avanti insieme i cittadini che l’hanno fondata e che oggi credono in lei. Basta ascoltare il suo silenzioso respiro, nella notte dell’Occidente, mentre è incapace di incidere sul caos globale. Basta osservare l’estraneità politica dell’Unione europea sulla guerra in Ucraina, la pochezza politica sul nuovo conflitto fra Hamas e Israele, la feroce indifferenza con cui tutti la trattano. E la spocchia con cui distoglie lo sguardo dal mondo per accanirsi su se stessa. E produrre regole e divieti per un mondo futuro che aveva immaginato ma che, è evidente al mondo, che non è in grado di realizzare.


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