Un maxi-drone Northrop Grumman RQ-4D Phoenix della Nato, il Magma 10, è decollato ieri mattina dall’aeroporto militare di Sigonella. Progettato per operazioni di ricognizione e acquisizione di informazioni, avrebbe dovuto avere come destinazione finale l’aeroporto di Tampere, in Finlandia.
econdo i tracciati di Flightradar, però, ha seguito una rotta inizialmente diversa in direzione del Mar Nero, lungo le coste della Turchia. È qui che ha fatto la staffetta tornando più volte sul suo percorso per pattugliare dalle cinque del mattino fino al pomeriggio inoltrato le rotte aeree che separano l’Europa dalla guerra in corso in Iran. L’ultima volta che Magma 10 ha percorso questa stessa rotta è stato il 21 maggio, quando il generale iraniano Abdol Rahim Mousavi era volato in Bielorussia per incontrare la sua controparte, Vladimir Kupriyanyuk.
Nel Paese Teheran sta costruendo dal 2023 un impianto di produzione di droni in supporto di Mosca, impegnata nella guerra in Ucraina contro l’Europa. Lo scopo di questa nuova operazione di Magma 10 sui cieli del Mar Nero rimane ignoto: sembra aver sorvegliato per ore i voli civili tra il Medio Oriente e l’Europa. Ma è chiaro che non si tratta dell’unica iniziativa in corso per tenere sotto controllo una situazione a dir poco instabile.
Le possibili conseguenze della guerra tra Israele e Iran, al centro degli incontri diplomatici del G7 a Kananaskis, in Canada, restano incerte. L’aviazione israeliana e i suoi sistemi missilistici hanno finora colpito gli impianti nucleari di Natanz, Isfahan e Fordo, insieme al reattore ad acqua pesante di Arak e al complesso militare di Parchin. Domenica la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, in un colloquio telefonico con il primo ministro israeliano Netanyahu, ha ancora una volta sottolineato la sua preoccupazione per il programma nucleare e missilistico dell’Iran, definendolo fonte di instabilità regionale. Tuttavia, l’ultimo report dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha evidenziato come da venerdì scorso, primo giorno di guerra, Israele non abbia fatto ulteriori progressi nella distruzione degli impianti nucleari iraniani, in gran parte situati nel sottosuolo. Il presidente dell’agenzia, Rafael Grossi, nel corso di una riunione di emergenza, ha fatto notare che dalle immagini satellitari non si scorgono segni di ulteriori danni agli impianti di arricchimento dell’uranio di Natanz e Fordo.
Sono questi i due impianti sotto accusa, dove le autorità di Teheran hanno annunciato di voler sviluppare l’arricchimento dell’uranio a livelli superiori al 60%, ben oltre la soglia dell’uso civile. A Natanz è stato distrutto solo l’impianto in superficie, non quello sotterraneo, il più importante. Fordo, interamente nascosto all’interno di una montagna, non sarebbe nemmeno stato scalfito. Secondo gli esperti, Israele al momento non è in grado di raggiungere le infrastrutture vitali del programma nucleare iraniano. Per farlo, dovrebbe essere in possesso delle speciali bombe anti-bunker, di cui solo gli Stati Uniti dispongono. Se l’amministrazione Trump non entrerà in guerra, sarà impossibile che l’obiettivo venga raggiunto.
E una cosa è sicura: restare impantanati nell’ennesima guerra al di là dell’Oceano è l’ultimo dei desideri della base elettorale del presidente. A oggi il ministero della Difesa israeliano non ha ancora pubblicato la lista dettagliata degli obiettivi della guerra in corso. Eran Etzion, ex vicecapo del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Israele, ha dichiarato ad Al Monitor, quotidiano online di informazione sul Medio Oriente, che l’obiettivo del governo di Gerusalemme potrebbe essere quello di ritardare di uno o due anni il programma nucleare iraniano. Tutt’altra cosa rispetto alla promessa di cancellarlo. Ecco perché in queste ore sono in molti a domandarsi se lo scopo di questa avventura iraniana non sia un altro: fare pressioni sul regime per riprendere i colloqui sul nucleare su nuove basi.
Le voci su un possibile piano per assassinare l’ayatollah Ali khamenei in queste ore si alternano alle smentite. Teheran ha già messo le mani avanti: il giorno successivo all’attacco israeliano lo stesso Khamanei ha garantito l’amnistia a 2.887 prigionieri, tra cui 39 prigionieri politici accusati di crimini contro lo stato. Un gesto compiuto nella giornata che commemora il compleanno del profeta, ma che rappresenta prima di tutto una mano tesa all’opposizione interna. Molti in Iran cominciano a chiedersi perché alla popolazione siano stati chiesti tanti sacrifici per spese militari che, alla resa dei conti, non sono servite a proteggere gli obiettivi sensibili del Paese. Il malcontento serpeggia, ma Teheran questa volta, dopo la sorpresa dell’attacco israeliano, non ha nessuna intenzione di farsi trovare impreparata.