Lo scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Iran e la decisione di scongelare i beni iraniani all’estero potrebbero avere ricadute positive sui colloqui per la ripresa del Jcpoa, l’accordo sul programma nucleare di Teheran firmato nel 2015, finito su un binario morto in seguito al ritiro di Washington deciso dall’allora presidente Donald Trump nel maggio del 2018. Lo ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanaani, citato dall’agenzia di stampa Isna.

“Sebbene non direttamente collegate, queste questioni potrebbero avere un impatto positivo una sull’altra e raggiungere progressi in un campo potrebbe portare benefici in un altro”, ha dichiarato Kanaani. Gli incontri per far ripartire il Jcpoa sono ripresi a Vienna nell’aprile del 2021, senza produrre risultati importanti.

L’Iran è impegnato a risolvere la disputa nucleare con le potenze mondiali attraverso la diplomazia, ha assicurato il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, nel corso di una conferenza stampa trasmessa in tv. “Abbiamo sempre voluto che tutte le parti tornassero al pieno rispetto dell’accordo nucleare del 2015”, ha affermato Amir-Abdollahian.

Giovedì i due Paesi hanno fatto sapere di aver raggiunto un’intesa in base alla quale sei miliardi di dollari di fondi iraniani saranno sbloccati dalla Corea del Sud mentre cinque cittadini americani detenuti in Iran saranno rilasciati.

La linea dura senza concessioni rivendicata dal Segretario di Stato americano Antony Blinken, era solo un depistaggio a cui ha creduto una parte rilevante della stampa occidentale.

Dopo la “cucitura” dell’Oman il dialogo tra le parti è ripreso. Sul tavolo delle trattative, lo scongelamento dei soldi iraniani e l’ammorbidimento delle sanzioni occupano un posto di rilievo. Gli Stati Uniti non voglio allungare l’elenco dei “nemici” in una regione strategica nella quale l’influenza di Russia e Cina è in costante aumento.