Attualità

Kissinger, il gigante di un’epoca conclusa per sempre

di Angelo Vitale -


Un gigante della diplomazia, ripetono tutti ora che Henry Kissinger è morto all’età di 100 anni. La diplomazia come strumento del potere (“Power is the ultimate aphrodisiac”, disse 50 anni fa), per l’ex segretario di Stato degli Stati Uniti che custodì per tanto tempo anche un innegabile fascino personale (ebbe relazioni con Diane Sawyer, Candice Bergen, Jill St. John, Shirley Maclaine, Liv Ullman).

La shuttle diplomacy, sì, la “politica della navetta” messa in campo per affrontare la crisi mediorientale e la guerra dello Yom Kippur del 1973. Ma pure una visione di ogni conflitto esterno agli Stati Uniti come “un attacco fondamentale al sistema internazionale” e “al mondo libero”. Come oggi l’ultimo, l’attacco di Hamas del 7 ottobre ad Israele. Ieri, l’aggressione della Russia all’Ucraina. Ai suoi tempi, quando il suo nome cominciò ad affermarsi in Occidente, un cinismo – nel giorno della sua morte si può dire un pragmatismo – che gli fece considerare vietnamiti e cambogiani carne da cannone da sacrificare per chiudere la guerra e arrivare ad un equilibrio mondiale che permettesse di definire i rapporti con la Russia e aprire alla Cina (è stato l’unico ad aver conosciuto e incontrato tutti i presidenti del Paese del Dragone).

Che condusse Kissinger a definire Aldo Moro “un ignorante” che rappresentava “un popolo di imbroglioni” e a minacciarlo esplicitamente per i suoi propositi del compromesso storico con il Pci. Che lo fece diventare l’amico più importante dei dittatori o aspiranti tali dell’America latina, aprendo a una stagione di ripetute eliminazioni di oppositori a quei regimi perfino sul suolo americano.

Un tempo che pare lontano secoli, invece che decine di anni. Un’epoca conclusa per sempre, in un mondo cambiato dove l’intelligenza artificiale può fare più vittime delle bombe al napalm e dove le elezioni presidenziali vengono vinte a colpi di motosega brandita sul palco. Una visione della contemporaneità che rimane nel ricordo di Giorgia Meloni che lo ha incontrato a luglio nella Villa Firenze di Washington. E ancorata nelle pecche della politica estera che Joe Biden si trascina anche in queste settimane sulla questione israelo-palestinese.


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