Ambiente

La tragica fine delle balene spiaggiate in Australia

di Giada Balloch -


La costa australiana si dipinge di rosso. Il mistero che ci sfida a comprendere i segreti dei comportamenti degli animali e una tragedia ambientale. Un’ondata di preoccupazione e tristezza che ha travolto non solo la comunità locale ma il mondo intero. Il 25 luglio più di 90 balene pilota sono state scoperte spiaggiate a Cheynes Beach, nello stato dell’Australia Occidentale. Non c’è stato nulla da fare per i soccorritori, che hanno lavorato instancabilmente per cercare di salvare queste magnifiche creature.

Le balene pilota, o globicefali, sono tra le più grandi specie di delfino e vivono in gruppi spesso formati da centinaia di esemplari. Il nome “pilota” deriva dalla credenza storica che un individuo del pod fungesse da guida o pilota per gli altri membri. Sono conosciute per essere socialmente intelligenti, il che rende ancora più sconvolgente il fatto che così tante siano rimaste intrappolate sulla sabbia. Ma quali sono i motivi che hanno portato a questo sconvolgente evento? Gli esperti hanno cercato di identificarne le cause. Diverse teorie sono state avanzate riguardo ai fattori che potrebbero aver spinto le balene verso la costa, tra cui l’influenza del cambiamento climatico e l’inquinamento acustico.

Infatti fonti esterne di stress come forti rumori sottomarini artificiali sono capaci di disorientarle, disturbando il loro sistema di comunicazione e navigazione basato sui suoni. Si ritiene che in questo caso, la leader del gruppo potrebbe essere stata malata. È naturale per i cetacei in pessime condizioni di salute dirigersi verso acque di bassa profondità e guidare così il resto del gruppo verso la loro fine. Lo spiaggiamento ha portato a uno sforzo coordinato e senza precedenti da parte di 250 volontari e 100 membri della guardia forestale. Le operazioni di salvataggio sono state complicate dalle dimensioni e dal peso delle balene, dalla presenza di predatori e dalle avverse condizioni meteo che hanno causato l’ipotermia di due aiutanti, ricoverati immediatamente. Nonostante gli aiuti, la maggior parte non sono sopravvissute. Addirittura alcune, spinte in acqua, invece di allontanarsi si spiaggiavano, nuotando verso riva.

Questo ha portato a una difficile decisione dalle autorità australiane. A causa della loro lenta sofferenza e delle gravi ferite riportate, si è ritenuto che la migliore soluzione sarebbe stata sopprimerle. Affermando che sulla spiaggia non avrebbero avuto alcuna possibilità di sopravvivere o essere risospinte in mare. Oltre ai 52 globicefali già spiaggiati, le altre 45 balene in vita sono state soppresse il giorno dopo, per un totale di 97 delfini morti. Una cifra spaventosa che ha scosso l’opinione pubblica e ha posto interrogativi. “Sono stati i piccoli suoni dei giovani morenti che mi hanno colpito più duramente” scrive Narelle Towie, giornalista del The Guardian che ha collaborato nel salvataggio. “Per molte ore, le piccole balene pilota in difficoltà sulla costa meridionale dell’Australia Occidentale hanno gridato. Non sono sicura che riuscirò a dimenticarmi del suono.” Sono in molti a criticare questa scelta, sostenendo che tra le alternative possibili è stata presa la più terribile per gli animali e semplice per gli uomini.

Ad oggi, gli spiaggiamenti delle balene restano eventi imprevedibili e poco compresi. L’incidente rappresenta un richiamo alla necessità di avanzare con le ricerche delle specie marine. Solo attraverso un miglioramento della comprensione delle abitudini e un monitoraggio più attento possiamo sperare di prevenire futuri “mass stranding” e proteggere i cetacei che abitano le nostre acque, per garantire un futuro più sicuro.


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