Editoriale

Lanzichenecco a nove euro

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Non stupisce che l’Italia si indigni per le parole di Alain Elkann. Lui è distante dalla realtà quotidiana. Quel che colpisce è che non si indigni allo stesso modo, anzi piaccia, il prezzo minimo al lavoro. Il cavallo di Troia per aprire a un mondo dove il salario resterà di 9 euro l’ora. Ma diventerà presto il salario massimo. Proprio come i lanzichenecchi di Elkann, quei mercenari alla Wagner di altri tempi citati dallo scrittore finito per sbaglio su un treno, quando c’è guerra si può razziare, è così quando la crisi incombe e i sindacati hanno firmato contratti sotto i 4 euro, la gente è disperata e l’economia privilegia solo certi luoghi e certe tecnologie lasciando in uno stato di semi-povertà centinaia di migliaia di italiani che finora avevano lavorato per campare, diventa facile fregare il Paese.

E con la scusa di aiutare chi ha di meno, cioè guadagna meno di 9 euro l’ora, creare un provvedimento (che infatti piace a 7 italiani su 10) presentandolo al sistema come un antidoto al male di oggi, il fatto che una volta i poveri erano quelli che non lavoravano mentre oggi lo sono i lavoratori. Senza dire che quell’articolo contiene in sé un effetto paradosso, che lo trasformerà presto in un virus. Esaurito l’effetto previsto di alzare i salari più bassi (soprattutto quelli delle multiservizi, che pero vivono di appalti pubblici che ci costeranno più cari), contaminerà poi l’acqua dei pozzi del già fragile mercato occupazionale italiano aprendo la strada alla nuova era, quella dove per magia nei nuovi impieghi il salario minimo sarà anche quello massimo, e quei 9 euro resteranno stampati a lungo sulle buste paga di chi prima percepiva di più ed entra nel mercato del lavoro insieme a persone che percepiranno più di lui per la stessa mansione.

In italiano si chiama regressione. E non c’è nulla di cui andare fieri. Questo meccanismo è infatti già stato protagonista dell’evoluzione dei salari in questo Paese. Nel nome di una crisi come quella del 2008 ad esempio, in tante professioni e in tanti mestieri le aziende hanno cominciato a non sostituire chi andava in pensione. Il meccanismo è diventato che per tre uscite, per fare un esempio, entrava uno solo riducendo via via il costo del lavoro a un terzo. Non soddisfatti di questo i contratti di chi arrivava, visto che in tanti casi erano siglati a livello nazionale, non potevano essere diminuiti almeno ufficialmente, venivano lentamente privati di tutta la storia sindacale dell’azienda in questione, di tutti gli integrativi e i miglioramenti che la lotta operaia aveva conquistato in tanti anni.

Creando così un ricatto alla base del lavoro che diceva semplicemente che per lavorare e fare le stesse cose di altri, arrivando dopo, si partiva più indietro. Con questo stesso meccanismo quei contratti sono stati smantellati e di fatto all’uscita degli ultimi vecchi del mestiere sostituiti integralmente da contratti rinnovati da zero che avevano cancellato tutto quello che era stato un diritto per decenni senza che nessuno potesse battere ciglio. Siamo l’unico Paese d’Europa in cui questo meccanismo è diventato un vanto. E infatti siamo anche il Paese d’Europa che a parità di crescita e di parametri industriali e finanziari registra i salari più bassi di tutti. Tanto che molta gente del proprio lavoro non riesce più a vivere. A questa gente diremo che c’è chi sta peggio di lei.

Senza spiegare che questa parola, minimo, per quanto riguarda l’Italia e la situazione in cui versa, così come la sua storia di retromarcia sindacale, corrisponderà presto alla parola medio per poi corrispondere a massimo. Senza spiegare che di fatto andiamo a istituire un prezzo del lavoro che indipendentemente dalla situazione generale e dalla necessità sarà imposto per legge e diventerà la ragione per cui la trattativa sindacale lentamente perderà ancora più peso e ruolo. Ed è incredibile che sia la destra, che ha deciso di trattare su questo argomento con le opposizioni, a porre le domande scomode, le questioni pratiche che stanno dietro a questo provvedimento apparentemente terapeutico ma in realtà velenoso per il mondo già martoriato del lavoro italiano.

Ed e incredibile che sia invece la sinistra, almeno quella ufficiale, a cantare vittoria se avrà portato a casa l’ennesimo cavallo di Troia che penetra le mura ormai a brandelli di quello che un tempo era il guscio di tutela del lavoro sancito come base di questa Repubblica nel primo articolo della Costituzione. Quella che noi continuiamo a celebrare a parole e a smantellare nei fatti.


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