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Lavoro: il mismatch costa 28 miliardi, l’1,5% del Pil

di Angelo Vitale -


In Italia non manca il lavoro, mancano i lavoratori. Un mismatch che si trasforma nel 2023 in un conto salatissimo per il Paese: 28 miliardi di euro in meno, pari all’1,5% di mancato Pil, un conto salito a questo dato dall’1,2 del 2021. E’ la fotografia di Censis e Confcooperative che fornisce pure una smentita a great resignation e quiet quitting: nessuna fuga dal mondo del lavoro, il 66% viene ricollocato nel giro di tre mesi.

I posti vacanti nell’industria e nei servizi sono un salasso per la nostra economia. Se infatti le imprese fossero riuscite a trovare tutte le figure professionali di cui ci sarebbe stato bisogno, la crescita nel 2023 avrebbe potuto raggiungere i 1.810 miliardi.

Nello studio “Lavoro, il mercato contorto”, lo sbilancio più ampio del secondo trimestre 2023 nei servizi di alloggio e ristorazione che tocca quota 3,7%, seguono le costruzioni con il 3,1% e le attività di informazione e comunicazione (2,9%), mentre meno critica appare la situazione nel manifatturiero (2%), nel settore energetico (1,2%) e nei trasporti (1,4%).

Ma il mercato del lavoro non soffre solo del disallineamento tra domanda e offerta: è anche un mercato che cresce (gli occupati totali con almeno 15 anni sono aumentati nell’ultimo decennio di quasi 800 mila unità, con un incremento rispetto al 2012 del 3,6%) ma che sta pure inevitabilmente invecchiando. In 10 anni, dal 2012 al 2022 gli over 50 infatti sono cresciuti di quasi 3 milioni dai 6,3 milioni del 2012 ai 9 milioni del 2022: un incremento del 42,4%, oggi la classe d’età 50 rappresenta una quota del 39% sul totale dell’occupazione (era il 28,4% nel 2012). Peggio gli over 65: nel 2022 risultavano ancora occupati in 687mila, tra il 2012 e il 2022 crescono del 72,2%.

In questo quadro latita l’occupazione giovanile: tra il 2012 e il 2022 i 15-34enni occupati si riducono di 361 mila unità. “Se si tornerà alla stagione della “crescita zero virgola”, tutte le contraddizioni coperte dalla ripresa degli ultimi anni verranno alla luce – denuncia Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative -. La mancanza di lavoratori, la scarsa dinamica del ricambio generazionale, il rischio di avvitamento verso il basso della crescita, della produttività e della capacità di innovazione, appaiono quanto mai inevitabili. Elementi di un’oggettiva sfasatura che, oggi più che in passato, caratterizza il mercato del lavoro italiano, dal quale emerge un quadro di forte complessità”.

Per lo studio, poi, il fenomeno delle grandi dimissioni in Italia altro non è che la manifestazione di una “mobilità interna” del mercato del lavoro. “Nel 2022 il numero di lavoratori dipendenti che si sono dimessi è stato di 1.047.000, di questi circa 700 ila si sono ricollocati nel giro di 3 mesi pari al 66,9% sul totale delle dimissioni volontarie”, afferma un report dell’associazione.

Un trend in rialzo rispetto all’era pre-Covid quando nel 2019 le dimissioni volontarie interessavano poco più di 810mila lavoratori ma entro tre mesi se ne ricollocava il 63,2%, quasi il 4% in meno rispetto al 2022. Il tasso di ricollocazione tende quindi a crescere, in linea con l’aumento dell’occupazione registrata dal 2021.

E se molti lavoratori cercano un nuovo lavoro perseguendo migliori condizioni lavorative, cambiano le motivazioni. Se nel 2012 il 51,2% degli occupati a tempo indeterminato dichiarava di voler cambiare lavoro per guadagnare di più, dieci annki dopo questa motivazione, pur la più importante, raccoglie solo il 36,2%. Oggi, ricercato un lavoro più qualificante per le proprie capacità e competenze e con maggiori prospettive di carriera, per il 36,1%.

Lavoratori che si ricollocano, ma dove? Il 73,1% dei metalmeccanici trova un nuovo impiego nello stesso settore, come il 73,1% nelle costruzioni, il 78,5% nei trasporti e comunicazioni e il 79% nel terziario.

Quanto alla cause, nel 2012 gli insoddisfatti del proprio lavoro rispetto alle competenze possedute era il 13,1%; dieci anni più tardi la percentuale ha raggiunto il 36,1%. Si riduce, invece, dal 19,1% al 6,9%, la quota di chi si mette alla ricerca di un nuovo lavoro poiché teme di perdere quello attuale. Dieci anni fa una forte crisi economica, oggi più prospettive diverse per l’occupazione.


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