Economia

PRIMA PAGINA – Leader in fuga e rebus Schlein. Ecco chi teme l’effetto Giorgia

di Domenico Pecile -


Piaccia o no, dentro e fuori la maggioranza, tutte le strade politiche, italiane ed europee, portano a lei. A un anno dal voto ha consolidato la sua leadership, ha aumentato i consensi personali e, soprattutto, è diventata uno dei leader più importanti nello scacchiere europeo anche in chiave di proiezione internazionale. Non a caso, è riuscita a scomodare per la seconda volta la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in visita l’altro ieri nelle zone terremotate dell’Emilia Romagna. Il rapporto tra Meloni e von Der Leyen, nonostante il no del governo al Mes e le mai sopite tensioni sul Patto di stabilità, sembra correre sul doppio binario del do ut des e del doppio vantaggio politico.

Il premier – che si è già spesa per correre alle europee – punta a consolidare il suo ruolo dentro e fuori l’Italia, mentre la presidente europea tedesca sogna di succedere a se stessa. Insomma, l’una ha bisogno dell’altra. Da qui l’endorsement della von Der Leyen al premier: “La Ue è stata dalla vostra parte e continuerà ad esserlo”, che è stato anche un messaggio subliminale per fagocitare le sirene che lusingano Meloni a fare una scelta netta di destra, abboccando all’invito di Salvini a non avere la puzza sotto il naso nei confronti dell’estrema destra tedesca dell’Afd e di quella francese di Marie Le Pen.

Meloni tira dritto consapevole che i rapporti di forza all’interno del governo (è di ieri il dietrofront della Lega sulla candidatura in Sardegna dell’uscente Christian Solinas) sono tutti a suo favore. E che, in ogni caso, la sterzata verso politiche più concilianti e moderate, non significano affatto presentarsi a Bruxelles con il cappello in mano. Meloni, ha infatti tutta l’intenzione di proseguire sulla linea fin qui perseguita qui che la pone come la protagonista indiscussa di un’Ue più proiettata fuori dai suoi confini come dimostrano, tra l’altro, gli accordi di Tirana e il Piano Mattei.

Il vantaggio di cui Meloni continua ad avere nei confronti degli avversari politici è evidente anche in chiave europea. La segreteria del Pd, Schlein, è alle prese con l’ennesima spaccatura interna. Una buona parte del partito, compreso Prodi e quasi tutte le donne con ruoli di rilievo, le chiedono di rinunciare alla corsa di giugno. E il fatto che il Pd non sia annoverato dai politologi tra i partiti padronali, ma tra quelli ancora assembleari e dunque suscettibili di continue tensioni interne, non basta a giustificare la situazione di grande difficoltà della segretaria. Schlein oltre al cruccio-Bruxelles è alle prese con altri nodi tutt’altro che facili da sbrogliare, come la questione dei diritti civili o delle due guerre. Non solo, ma Schlein non può non sapere che l’elettorato italiano non ne può più dei dottor Tentenna.

Ma la sfida di Meloni – che riguarda sì l’Europa, ma che avrà giocoforza ricadute per gli equilibri politici italiani – è rivolta ovviamente anche all’altro competitor dell’opposizione: Conte. Il leader dei 5S sostiene che la scelta di non candidarsi alle europee è etica perché non vuole infinocchiare gli elettori con un’elezione e la successiva rinuncia, in ciò evitando la conta con la Schlein per il primato elettorale a Sinistra.

Meloni a gonfie vele, dunque. Anche, si diceva, all’interno della sua maggioranza con un Salvini sempre più in difficoltà, costretto ad accelerazioni improvvide e Tajani che dovrà fare i conti con la fame di quel 4% di consensi inseguito da Matteo Renzi. Entrambi dovranno pescare più o meno nello stesso elettorato, fatto salvo forse quel pezzo di Pd sempre più distante dalla linea di Sinistra del partito e che cerca una collocazione più riformista rispetto a FI. Per l’ex premier (ma con lui mai dire mai…) si tratta dell’ultima chiamata: la sua sarà una campagna elettorale contro le presunte sconfitte internazionali di Meloni. “L’unica vittoria è quella di Coppa Davis”, ha ironizzato.


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