Maresciallo dell’Arma morì di stenti nel lager: ma non merita i danni
Gli italiani per i nazisti non avevano diritto allo status di “prigioniero di guerra”, ma quello inferiore di “internato”. Il maresciallo dei carabinieri bresciano Antonio Staffoni, morì a 44 anni denutrito e tra atroci sofferenze perché non curato dai tedeschi nel campo di Stargard in Prussia, oggi Polonia, nella primavera del ’44. Ma secondo il Tribunale civile di Trento la sua morte non merita il risarcimento del danno che gli eredi hanno chiesto alla Repubblica Federale di Germania, manlevata dall’Italia, perché quello commesso contro il militare che non accettò di arruolarsi sotto le insegne dei fascisti di Salò, non è un “crimine di guerra”, che è imprescrittibile, bensì un sequestro di persona e una riduzione in schiavitù, reati previsti dal codice Rocco, e pertanto soggetti alla prescrizione. E nonostante il tema dei crimini internazionali non sia mai stato affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, come sentenzia lo stesso Tribunale, il giudice aderisce all’impostazione più restrittiva nell’interpretazione dell’articolo 43 del decreto legge numero 36 del 2022, riguardo al Fondo per le vittime del Terzo Reich, che fissa dalla sua entrata in vigore in 180 giorni il termine entro la quale gli eredi potevano avviare l’azione civile. Tuttavia, altri Tribunali, come quello di Brescia, hanno adottato un’impostazione più larga ed è per questo motivo che soltanto la Cassazione potrebbe dirimere la questione, che ha indubbi riflessi sostanziali perché tra l’altro stiamo parlando di un militare di carriera, e non di un contadino che veniva chiamato alle armi, come erroneamente scrive il giudice nel verdetto, che comandava la stazione altoatesina di Malles Venosta. Egli dopo l’8 settembre anziché fuggire nella vicina Svizzera, come gli era stato consigliato da un amico medico, preferì affrontare il suo terribile destino pur di tenere fede al giuramento prestato. “Rispetto naturalmente la sentenza – spiega il dott. Oscar Staffoni, 87 anni, figlio del sottufficiale dell’Arma – ma non la condivido per nulla, perché mio padre come le testimonianze dei commilitoni riportano, morì a causa di indicibili sofferenze, dunque a causa di un crimine di guerra in violazione di qualsiasi trattato. Non va dimenticato, e mi spiace che il giudice non abbia valorizzato abbastanza questo passaggio, che gli italiani per i nazisti non erano prigionieri di guerra, bensì qualcosa di più in basso nella loro folle scala gerarchica dei valori umani, e di conseguenza erano equiparati a carne da macello. Peggio di schiavi da lavoro. Da poter essere uccisi in qualsiasi momento”. Il Tribunale, come sollecitato dal ministero dell’Economia che si è costituito, ha ritenuto che nella causa di risarcimento relativa al maresciallo Staffoni, essendo stato “solo” ridotto in schiavitù, va applicata la prescrizione. Tra l’altro, il giudice osserva che i parenti “non hanno indicato chi materialmente ha compiuto all’epoca il reato fondante l’odierna richiesta risarcitoria”. Sul punto, però, Staffoni replica che l’ordine di fare prigionieri – anzi di trasformare in “internati militari i traditori italiani” come sostenne il Terzo Reich dopo l’8 settembre -, partì direttamente da Hitler, come storicamente è ampiamente risaputo, e il trattamento cui furono sottoposti gli italiani nei lager fu la conseguenza di quell’ordine. “Cercare proprio quell’ufficiale che ha ordinato il sequestro di persona e la riduzione in schiavitù di mio padre, sinceramente, lo trovo un esercizio giuridico di lana caprina”, sottolinea con un sorriso amaro Staffoni. Va ricordato, tra l’altro, che Staffoni era un “ragazzo del ’99” che nella Prima guerra mondiale combatté a Verdun, in Francia, e fu decorato con la medaglia della “République Française”. Come detto l’interpretazione dei Tribunali non è uniforme sull’applicazione o meno della prescrizione, che nel momento in cui viene sollevata dallo Stato italiano e accolta come nel caso di Trento, si trasforma in una cesoia per il procedimento. Gli avvocati Lara Maria Dal Medico e Francesco Lanaro, che assistono Staffoni, sostengono che “il diritto risarcitorio azionato sia imprescrittibile, come affermato da una vasta giurisprudenza di merito” di altri Tribunali della Repubblica. Fino a quando, come precisa il giudice di Trento, il tema della prescrizione dei crimini internazionali non sarà affrontata dalla Cassazione civile, magari a Sezioni Unite, per stabilire se chi è morto in campo di concentramento senza il riconoscimento minimo di “prigioniero di guerra” è vittima di un crimine di guerra, si assisterà a un’applicazione strabica del diritto.
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