Attualità

“Mia Moglie”: Facebook chiude il gruppo della vergogna

Attivo dal 2019, il gruppo contava fino a 32.000 membri e raccoglieva post di uomini che condividevano foto intime delle proprie compagne o mogli

di Gianluca Pascutti -


Il gruppo Facebook “Mia Moglie” è stato chiuso da Meta dopo giorni di polemiche e migliaia di segnalazioni alle autorità italiane. L’episodio ha scosso l’opinione pubblica e sollevato un dibattito che va oltre i confini del digitale, toccando temi di privacy, violenza online e cultura patriarcale.

Il gruppo e i suoi contenuti

Attivo dal 2019, il gruppo “Mia Moglie” contava fino a 32.000 membri e raccoglieva post di uomini che condividevano foto intime delle proprie compagne o mogli, spesso senza il loro consenso. In molti casi si trattava di immagini scattate di nascosto, in altri di contenuti manipolati con l’intelligenza artificiale.

I commenti che accompagnavano le immagini erano sessisti, denigratori e in alcuni casi incitavano alla violenza. Un fenomeno che gli esperti hanno definito a tutti gli effetti “stupro digitale”, un’espressione che sottolinea l’impatto traumatico subito dalle vittime.

Le segnalazioni e la chiusura

La vicenda è esplosa grazie alla denuncia dell’attivista e scrittrice Carolina Capria, che ha portato alla luce l’esistenza del gruppo. Da lì, la Polizia Postale ha ricevuto oltre 2.800 denunce scritte, mentre sui social è partita una campagna di indignazione che ha coinvolto cittadini, giornalisti e politici.

Meta, accusata di aver reagito con lentezza, ha infine deciso di rimuovere il gruppo, dichiarando che violava le proprie policy contro lo sfruttamento sessuale degli adulti. Tuttavia, poco dopo sono nati tentativi di replica su Telegram e in altri spazi del web, segno della difficoltà di estirpare un fenomeno radicato.

Reazioni politiche e sociali

Il caso ha raggiunto le istituzioni. Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Codacons hanno condannato duramente l’accaduto, chiedendo maggiore vigilanza da parte delle piattaforme e strumenti legali più incisivi. Una deputata di Sinistra Italiana ha sottolineato che “le leggi non bastano: serve educazione affettiva a scuola per prevenire la violenza di genere.”

Gli avvocati hanno ricordato che la diffusione non consensuale di immagini intime in Italia è reato, con pene fino a sei anni di carcere e multe fino a 15.000 euro.

Un problema culturale

Dietro la chiusura del gruppo resta una questione profonda: la percezione del corpo femminile come proprietà e oggetto di esibizione. Secondo la sociologa Beatrice Petrella, la vicenda è “un esempio lampante di violenza maschile online, resa possibile dall’anonimato e dall’impunità percepita”.

Il caso “Mia Moglie” dimostra come i social network possano diventare strumenti di abuso se non controllati con rigore. La chiusura del gruppo è un passo importante, ma non sufficiente. È necessario un impegno collettivo – dalle piattaforme alle istituzioni, fino alla scuola e alla cultura – per affermare con forza un principio fondamentale: il consenso non è negoziabile, nemmeno online.


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