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Mia Moglie: il gruppo Facebook della vergogna scoperchia il lato guardone di quell’Italia che ha perso il senso del pudore

Foto rubate, denunce, scandalo. Sul Financial Times siamo un Paese voyeur da B-movie degli anni ’70

di Nicola Santini -


Mia Moglie: il gruppo Facebook della vergogna scoperchia il lato guardone di quell’Italia che ha perso il senso del pudore

C’è un’Italia che si crede spiritosa, moderna e maschia, e invece si rivela per quella che è: guardona, miserabile e senza pudore.

Non bastava, a quanto pare, il solito sfogo da spogliatoio, il bisbiglio grasso tra amici al bar o la risatina da macchinetta del caffè: serviva il social network per sancire la caduta definitiva del pudore. Il gruppo si chiamava “Mia Moglie”, con quella sfacciata semplicità da barzelletta da caserma, e ha raccolto trentaduemila mariti che di “moderno” avevano solo la connessione internet. Per anni hanno messo in vetrina l’intimità domestica: foto rubate, immagini intime talvolta taroccate dall’intelligenza artificiale, pezzi di corpo femminile condivisi come trofei di caccia. E tutto questo nel Paese che fa fiaccolate per la violenza sulle donne e congressi sul rispetto, salvo poi trasformare il talamo nuziale in una bacheca digitale.

A raccontarlo oggi sembra surreale, eppure è accaduto per mesi alla luce del sole. Le mogli, ignare. I mariti, complici. I guardoni, soddisfatti. I commenti, talvolta triviali, talvolta violenti, il più delle volte umilianti.

La denuncia che ha fatto saltare il tappo è arrivata da Carolina Capria, influencer che ha gridato allo scandalo. Da lì, la valanga: migliaia di denunce alla Polizia Postale, un’inchiesta aperta, i giornali in prima fila. Persino il Financial Times ha trovato la vicenda meritevole di attenzione, segno che l’Italia esporta ancora qualcosa: non più moda, design o cucina, ma l’oscenità di un patriarcato digitale che non riesce a trattenere nemmeno il respiro prima di sputare addosso alle proprie donne.

Chi ha letto i racconti delle vittime non potrà scordarli. Una dice: «Ho visto il mio letto, io tradita e umiliata, data in pasto ai guardoni social». Un’altra: «Mi sento spezzata in due, lui si è giustificato dicendo che era solo un gioco». E viene la nausea: in che senso “gioco”? Quando il “gioco” consiste nello scucire la pelle di chi ami per regalarla all’applauso virtuale, non siamo più davanti a un passatempo: siamo al tradimento di ogni decenza.

Qualcuno, con la faccia tosta dell’ingenuità, si è pure difeso: «Non so come si esce dal gruppo». Come se il vero problema fosse il tasto “abbandona” e non l’aver venduto, gratis, la dignità della propria compagna.

E come da copione, la politica è arrivata in ritardo e senza fantasia.
Pd
e Cinque Stelle, i soliti pronti a brandire il patentino del moralismo, si sono fiondati a cavalcare l’onda: difensori last minute della proprietà intellettiva del pudore, panzer a gettone di una battaglia che si combatte solo quando aggiudica applausi facili. Facile indignarsi a buoi scappati, più difficile fare prevenzione, educazione, cultura. Il resto è retorica a buon mercato, l’ennesima sceneggiata parlamentare di chi si sveglia solo quando la cronaca offre il titolo pronto.

E intanto Meta ha lasciato correre.

Il gruppo era lì da sette anni
: visibile, attivo e rumoroso. Poi, al solito, la chiusura è arrivata solo quando l’indignazione pubblica era già esplosa. Una toppa tardiva su un buco enorme, perché nel frattempo nuovi canali su Telegram sono spuntati come funghi.

La bestia non muore, cambia solo recinto.

Il quadro è devastante: un’Italia che a parole difende i valori, ma che in realtà si lascia trascinare dal richiamo della curiosità morbosa, che non riesce a trattenersi nemmeno nel salotto di casa, che trasforma la camera da letto in pubblico spettacolo e confonde l’amore con l’esibizione.
E si fa presto pure a riempirsi la bocca a sorsate di “privacy violata”: qui siamo di fronte a un bieco costume nazionale, o peggio, a un vizio collettivo che ci racconta meglio di mille convegni sulla parità.

Mia Moglie” era il titolo del gruppo, ma è anche la definizione di una proprietà. Non “mia compagna”, non “mia donna”, ma “mia moglie”, come fosse una macchina, un appartamento, un oggetto su cui esercitare diritto di godimento. E allora non stupisce se trentamila italiani, convinti di non avere nulla da perdere, abbiano fatto gruppo proprio sul terreno del possesso.
È l’Italia che ama definirsi rispettosa e morale, ma che appena può diventa guardona, miserabile, sudiciona, senza pudore.


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