L’avvertimento esplicito e diretto di Donald Trump ha sortito l’effetto sperato dagli Stati Uniti, innescando uno scaricabarile politico in Israele. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ordinato al governo di fermare l’iter della legge sull’annessione della Cisgiordania, fino a nuove disposizioni. In precedenza il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, aveva bollato il voto della Knesset come “una mossa politica dell’opposizione” per “cercare di mettere in imbarazzo il governo” durante la visita del vice presidente statunitense Jd Vance, mentre il presidente Trump ha chiarito che l’annessione “non avverrà” e che se lo spigoloso alleato dovesse continuare ad insistere con i suoi piani, perderebbe il sostegno degli Usa.
La versione di Netanyahu dopo il dietrofront dettato da Trump
“Il voto della Knesset sull’annessione è stato una deliberata provocazione politica dell’opposizione per seminare discordia durante la visita del vicepresidente Jd Vance in Israele”, si legge in una nota diffusa su X dall’ufficio del primo ministro, in cui si sottolinea che “i due progetti di legge sono stati sponsorizzati da membri dell’opposizione”. “Il Likud e i partiti religiosi (i principali membri della coalizione) non hanno votato a favore di questi progetti di legge, fatta eccezione per un membro scontento del Likud che è stato recentemente licenziato dalla presidenza di una commissione della Knesset – ha proseguito lo staff di Netanyahu – Senza il sostegno del Likud, è improbabile che questi progetti di legge vengano approvati”. Da “Bibi” è arrivato anche il segretario di Stato americano Marco Rubio per verificare l’attuazione dell’accordo raggiunto sulla base del piano trumpiano.
I giornalisti non possono entrare a Gaza
La Corte Suprema israeliana ha concesso allo Stato altri 30 giorni per rispondere alla petizione presentata dalla Foreign Press Association (Fpa), che chiede la revoca del divieto generale d’ingresso dei giornalisti indipendenti nella Striscia di Gaza. Il ricorso, depositato un anno fa, contesta la misura in vigore dall’inizio della guerra contro Hamas, sostenendo che “viola i principi fondamentali di una democrazia e rappresenta un grave, irragionevole e sproporzionato danno alla libertà di stampa e di espressione”. La Fpa ha accusato le autorità israeliane di “ricorrere ancora una volta a tattiche dilatorie per impedire l’ingresso dei giornalisti”. “Abbiamo il diritto d’informare il pubblico, in Israele e nel mondo”, ha affermato fuori dall’aula Nicolas Rouget, membro del direttivo dell’associazione.
L’accusa di Hamas a Israele
Secondo Hamas, Israele vuole “continuare a imporre un blackout mediatico sui crimini orribili e la distruzione diffusa causata dalla macchina da guerra sionista nella Striscia”. La mossa della Corte rivelerebbe “la volontà dell’entità sionista di nascondere le violazioni sistematiche contro i civili, le infrastrutture e tutti gli aspetti della vita, che equivalgono a crimini di genocidio contro il nostro popolo palestinese”.
Il gruppo ha definito la misura “una palese violazione della libertà di stampa”, esortando “i media internazionali e le istituzioni per i diritti umani a esercitare ogni forma di pressione per consentire ai giornalisti stranieri di entrare immediatamente nella Striscia e sostenere i colleghi palestinesi che documentano i crimini del genocidio e le conseguenze umanitarie del blocco e dei bombardamenti”.
L’unità speciale israeliana che si occupa dei cronisti
L’esercito dello Stato ebraico, stando ai contenuti di un’inchiesta condotta dalle testate israeliane “+972” e “Local call” ha creato un’unità speciale, nota come “cellula di legittimazione”, il cui compito è “demonizzare” i giornalisti palestinesi a Gaza, facendoli passare per terroristi, così da giustificare la loro sistematica eliminazione. Al nucleo è permesso di declassificare informazioni di intelligence sensibili e renderle pubbliche per raggiungere il risultato. L’ultimo operatore dell’informazione a perdere la vita in ordine di tempo, è stato Saleh Aljafarawi, 28 anni, ucciso durante gli scontri nel quartiere Sabra, a Gaza City, a cessate il fuoco già iniziato. A precederlo sono stati circa 238 colleghi.
Tel Aviv contro l’Unrwa
Israele vuole che l’Unrwa “non metta più piede a Gaza”. Gli Stati Uniti sono stati informati di questa presa di posizione, malgrado la Corte internazionale di giustizia si sia pronunciata chiedendo a Tel Aviv di lavorare con l’agenzia.
Potrebbero essere necessari tra i 20 ed i 30 anni per bonificare la superficie di Gaza dagli ordigni inesplosi. Lo ha indicato l’ong con sede negli Usa Humanity & Inclusion, definendo l’enclave palestinese come un “orribile campo minato non mappato”.