Cronaca

Nordio a Torino dopo i suicidi a Le Vallette

di Domenico Pecile -


Una si è tolta la vita, impiccandosi; l’altra si è letteralmente lasciata morire. Entrambe sono morte nella sezione femminile del carcere di Torino a distanza di poche ore l’una dall’altra. La prima si chiamava Azzurra Campari, aveva 28 anni. Era finita in carcere – dice il legale che l’assisteva – per un cumulo di pena per piccoli reati. Alle spalle una vita difficile, in salita, ai margini. La seconda, Susan Johan, nigeriana, aveva 42 anni.

È stata ritrovata morta nell’Articolazione di tutela della salute mentale dove era stata trasferita a fine luglio. Rifiutava il cibo, non parlava, non voleva essere curata. Pare che i garanti dei detenuti non fossero stati avvertiti delle gravi condizioni in cui versava la donna, che doveva scontare dieci anni di carcere per reati gravi come la tratta di essere umani, ma le si era sempre proclamata innocente. Lascia il marito e due figli ancora piccoli. Ancora due tragedie in Piemonte, una tra le Regioni con il più alto numero di detenuti. Il segretario regionale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) Vicente Santilli, ricorda che in Piemonte “vi sono 13 istituti penitenziari sui 189 nazionali, con la capienza regolamentare regionale stabilita per decreto dal ministero della Giustizia di 3 mila 999 detenuti, ma l’ultimo censimenti ufficiale (31 luglio scorso) ha contato 4 mila 36 reclusi, che ha confermato come il Piemonte sia tra le regioni d’Italia con il maggior numero di detenuti”.

E sulla triste vicenda è immediatamente intervenuto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha voluto visitare il carcere delle Vallette, a Torino. “Lo Stato non abbandona nessuno. Purtroppo, il suicidio in carcere è un fardello di dolore che affligge tutti i Paesi del mondo”, ha detto il ministro. Che subito dopo ha aggiunto: “L’atto estremo spesso è imprevedibile” ed è legato “a ragioni imperscrutabili. Non esiste un mistero più insondabile nella mente umana come quando decide di adottare soluzioni così estreme”. Secondo il Guardasigilli, dunque, “purtroppo in questi casi non c’è sorveglianza che tenga, persino al processo di Norimberga due imputati eccellenti si sono suicidati nonostante avessero lo spioncino aperto 24 ore su 24”. Il ministro ha voluto anche precisare che la sua non è “un’ispezione”, né “un intervento cruento”, ma “di assoluta vicinanza: chi meglio di un ministro che ha svolto per quarant’anni la funzione di pubblico ministero conosce i disagi delle situazioni penitenziarie”? “Stamani – ha detto – ancora abbiamo ascoltato tutte le proposte. Cercheremo quella che vorrei chiamare una detenzione differenziata tra i detenuti molto pericolosi e quelli di modestissima pericolosità sociale.

C’è una situazione intermedia che può essere risolta con l’utilizzo di molte caserme dismesse che hanno spazi meno afflittivi”. Immediate le reazioni anche dei rappresentanti penitenziari. “Due suicidi contemporanei in carcere – ha detto ancora Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.PP. (Sindacato polizia penitenziaria) – oltre alla classica indignazione dovrebbero produrre uno scatto di azioni da parte dell’Amministrazione penitenziaria”. E i dati che arrivano dalle carceri sembrano suffragare le preoccupazioni e i ripetuti Sos che provengono dai sindacati. Nel 2022 si sono suicidate 84 persone all’interno delle carceri italiane: 78 uomini e 6 donne, che rappresentano il 5% delle persone detenute. È il numero più alto di suicidi registrato in Italia dal 2000. I dati relativi agli anni ’90 suggeriscono che il tasso di suicidi non era mai stato così alto. Nel 2021 erano stati 58 e 51 nel 2020. Dieci anni fa quando la popolazione carceraria era più numerosa – 66 mila 528 contro 54 mila 841 – si suicidarono 60 detenuti, 24 in meno rispetto allo scorso anno.

In un’intervista, Mauro Palma, presidente del Garante nazionale dei diritti dei detenuti ha dichiarato che “le scelte soggettive vanno anche rispettate nella loro non univoca e difficile leggibilità; resta la responsabilità che è in capo a chi amministra e gestisce la privazione della libertà di una persona di tutelare al massimo la sua vita e la sua integrità fisica e psichica”. “Purtroppo – ha stigmatizzato Di Giacomo – in tutto lo scorso anno abbiamo ascoltato soltanto impegni politici e dichiarazioni di vecchi e nuovi parlamentari ed esponenti del Governo senza passare dalle parole di commozione (in qualche caso anche sincera) o generiche e di circostanza, quasi sempre le stesse, ai fatti. Sino al punto di produrre una sorta di assuefazione e ridurre il suicidio in cella a pochi righi in pagina di cronaca locale perché non fa più notizia. Anche gli annunci per la costruzione di nuovi padiglioni lasciano il tempo che trovano mentre il ministro Nordio sta pensando al recupero di vecchie caserme”. E intanto i problemi restano: affollamento, mancanza di spazi, di intimità, scarse condizioni igieniche su cui si discute da tempo.


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