“Occuperemo Gaza”, la decisione del governo israeliano
Il governo israeliano guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu ha formalizzato la scelta di occupare completamente la Striscia di Gaza. Un alto funzionario del suo ufficio, intervenuto su Channel 12, ha dichiarato che la decisione è definitiva e irrevocabile. L’obiettivo: eliminare la minaccia di Hamas, liberare gli ostaggi e impedire che Gaza resti sotto il controllo del gruppo.
Secondo il funzionario, i colloqui internazionali per un rilascio degli ostaggi sono falliti: Hamas non rilascerà prigionieri senza una resa totale e Israele non intende arretrare. “Se non agiamo ora, gli ostaggi moriranno di fame e Gaza rimarrà sotto il controllo di Hamas”, ha spiegato, sottolineando l’urgenza dell’intervento.
Il governo prevede l’estensione delle operazioni militari anche nelle zone in cui si sospetta siano detenuti gli ostaggi. L’ufficio del primo ministro ha aggiunto che se il capo di stato maggiore delle Forze di Difesa (IDF) non condivide questo approccio, è libero di dimettersi. La suggestione di una frattura interna sottolinea la tensione crescente tra politica e strategia militare.
Tra i membri della coalizione di governo, numerosi ministri della destra estrema spingono per una presenza israeliana permanente nella striscia. Viene ventilata la possibilità di insediamenti e spostamenti di popolazione come parte di una fase successiva della strategia. Secondo quanto riportato, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbe dato il suo via libera all’operazione e concordato con la linea del governo Netanyahu: ritiene che non ci siano più margini per un accordo con Hamas.
La situazione pone un dilemma interno anche sui costi umanitari e diplomatici: un gruppo di ex alti funzionari della sicurezza israeliana ha manifestato aperto dissenso, affermando che la prosecuzione della guerra rischia di danneggiare più che proteggere la sicurezza nazionale e l’immagine internazionale di Israele. Alcuni di loro sostengono che gli obiettivi militari sono già stati raggiunti e che continuare significhi alimentare un conflitto che ormai si regge più su interessi politici interni che su motivazioni strategiche concrete.
Sul fronte umanitario, l’intensificarsi dei raid ha provocato un pesante bilancio civile, alimentando critiche globali e richieste di immediato accesso agli aiuti. Le opinioni internazionali viaggiano tra chi chiede una tregua immediata e chi sostiene la linea israeliana di una soluzione militare definitiva.
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