Economia

Piano Mattei: l’Italia va all-in, l’Africa frena e l’Ue tace

di Giovanni Vasso -

(L-R) President of the European Commission Ursula Von der Leyen, President of the European Parliament Roberta Metsola, President of the African Union Azali Assoumani, Italian Prime Minister Giorgia Meloni and President of the African Union Commission, Moussa Faki, during the Italy-Africa Summit in the Italian Senate in Rome, Italy, 29 January 2024. ANSA/ITALIAN SENATE PRESS OFFICE +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++ NPK +++


La partita della vita è entrata nel vivo. Il governo italiano dà le carte, l’Unione Africana teme il bluff mentre Bruxelles rimane a guardare in attesa di capire come andrà a finire. Ieri si è tenuto, a Palazzo Madama a Roma, l’atteso summit Italia-Africa. Giorgia Meloni ha piazzato le sue fiches. E sono tante. La presidente del consiglio ha promesso che il Piano Mattei, il perno centrale della strategia economica e politica italiana verso l’Africa, varrà qualcosa come 5,5 miliardi di euro. Investimenti che saranno distribuiti tra “crediti, operazioni a dono e garanzie” e che saranno finanziati dal fondo italiano per il clima (per una cifra complessiva pari a tre miliardi) e dalle risorse stanziate per la cooperazione allo sviluppo (per un importo da 2,5 miliardi). Ma il piano potrebbe contare su ulteriori risorse da recuperare attivando un nuovo strumento finanziario, leggi Bond, insieme a Cassa depositi e prestiti e finalizzato a contribuire alle iniziative private sul suolo africano. Meloni ha parlato di “progetti e iniziative concrete” che per il momento ha tenuto ancora riservate pur accennando alla volontà di voler istituire “un grande centro di formazione in Marocco sulle rinnovabili” e il progetto di “migliorare l’accessibilità e la qualità dei servizi primari e sanitari” in Costa d’Avorio. Allargando lo sguardo dal particolare al generale, il governo italiano ha ribadito che ci sono cinque priorità: formazione, agricoltura, acqua, sanità ed energia. Cinque temi che ne richiamano un altro, l’autentico convitato di pietra del summit e cioè i flussi migratori.

Per la premier “l’immigrazione illegale non sarà mai fermata e i trafficanti non saranno mai sconfitti finché non si affrontano le cause che spingono le persone ad abbandonare le loro case”. La presidente del consiglio ha, inoltre, affermato che il Piano Mattei si occuperà per primo del Nord Africa, poi si passerà alla fascia subsahariana e infine a tutto il Continente. “Immaginiamo una collaborazione da pari a pari, lontana da una concezione predatoria o anche caritatevole”, ha ribadito Giorgia Meloni: “Italia-Africa sarà un ponte per crescere assieme, come recita il titolo di questo evento: un ponte che noi italiani possiamo costruire senza partire non da zero, un ponte che Enrico Mattei seppe immaginare”.

Ma gli accordi, così come le partite, si fanno (almeno) in due. Le proposte, per il momento, sono solo tali. E gli africani, stufi delle solite promesse occidentali e, soprattutto, frustrati dall’annoso immobilismo dell’Europa, hanno reagito freddamente. Innanzitutto bisogna registrare che, a Roma, c’è stata un’assenza eccellente. La Nigeria non ha risposto alla chiamata giunta dall’Italia. Ed è un guaio. Il Paese, infatti, è tra i mercati emergenti africani e per molti osservatori, in potenza, si tratta di uno Stato col quale chiunque intenderà affacciarsi in Africa dovrà fare i conti. Il governo di Lagos sta ampliando la platea dei suoi interlocutori e lo fa in piena autonomia. Il che vuol dire che continua a fare affari, come la maggior parte dei Paesi del Continente, con Russia e Cina. Inoltre è dalla Nigeria che partono i flussi migratori tra i più corposi di quelli registratisi negli ultimi anni.

Ma non basta. Perché di fronte alle proposte di Meloni, la replica di Moussa Faki, presidente della Commissione dell’Unione africana, non è stata così entusiastica: “L’Africa non si accontenta più di semplici promesse che spesso non vengono mantenute. Noi non siamo mendicanti”. Parole durissime che rimbombano nel contesto in cui sono state pronunciate: “Siamo pronti a discutere ma avremmo auspicato di essere consultati”. Un’altra zeppata. L’Africa non ha la minima intenzione di rinunciare ai rapporti intessuti con Pechino e Mosca: “Noi non imponiamo nulla al nostro partner e il nostro partner non ci impone nulla a sua volta. L’Africa è consapevole di doversi fare carico delle proprie responsabilità, se vuole far rispettare questi principi e basare questa partnership sulle proprie priorità”.

Se l’Ua è scettica, è colpa anche dell’Europa. Che non ha mai avuto una seria politica estera. Ieri, a Roma, c’erano anche Ursula von der Leyen e Roberta Metsola. Entrambe in scadenza di mandato, in attesa delle elezioni di giugno per capire quale sarà il loro destino. E nemmeno troppo sicure, entrambe, di continuare a recitare un ruolo decisivo in Ue. Si sono limitate alla prammatica, fiondandosi sulle photo opportunity per arricchire i loro profili su X. Mentre, al banco, Meloni si gioca la partita della vita. Che potrà consacrarla come leader di caratura internazionale oppure no. Sarà lunga, la partita dell’Italia per il Piano Mattei e l’Africa, e non meno dura di quanto ci si potesse aspettare.


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