Nel Paese dei salari bassi, il potere d’acquisto delle famiglie italiane è sceso del 10,5 per cento in appena sei anni. Eccola, l’eredità della pandemia, del Covid: guadagniamo poco rispetto agli altri europei e possiamo permetterci di spendere pure meno. L’Istat, ieri, ha presentato alla Camera dei Deputati il report sulle condizioni del Paese. E le notizie, buone e cattive, non si esauriscono certo con la triste parabola delle retribuzioni. L’Italia, infatti, rimane un Paese per vecchi, da cui i giovani fuggono appena possono, dove un cittadino su dieci rinuncia con troppa facilità alle cure mediche ma dove si nasce sempre meno e per avere un figlio le coppie fanno sempre più ricorso alle terapie per la procreazione assistita. Però qualche buona notizia c’è e riguarda l’occupazione, mai così alta e il fatto che, nonostante il livello dei salari che resta basso qualche segnale di aumento nelle paghe dei dipendenti, almeno nel 2024, s’è registrato.
Gli analisti dell’Istat stimano che il potere d’acquisto perduto, una sorta di “decima” pagata al Covid e alle crisi successive (a cominciare da quella energetica), sia pari al 10,5% che diventa 4,4% per le retribuzioni lorde. Un crollo superiore a quello registratosi in Francia e Germania (-2,6% e -1,3%) mentre, in Spagna, i dipendenti hanno visto aumentare la loro capacità di spesa. Ma non è tutto. Già, perché secondo gli analisti dell’Istituto nazionale di Statistica quasi un quarto della popolazione nazionale (23,1%) è a rischio povertà ed esclusione sociale. Un dato in aumento (+0.3%) rispetto al 2023 e che s’aggrava ulteriormente se si prende in considerazione solo il Mezzogiorno dove l’indice di rischio coinvolge addirittura il 39,8% della popolazione. Perché ancor prima del tema economico, anzi profondamente intrecciato a questo, c’è quello sociale. L’Italia rischia, semplicemente, di finire. Se continua così, a livello demografico, semplicemente non ci sarà alcun ricambio generazionale. I figli si fanno sempre più tardi, l’età media per il primo è intorno ai 30 anni. Siamo ben al di sotto dei due figli per donna, un dato statistico che per l’Italia è diventato un miraggio e si assesta oggi a non più di 1,18 figli per donna. Il risultato, oggi, è quello di un Paese che conta 59 milioni di abitanti in cui, nel 2024, si sono registrate appena 370mila nascite. Le donne senza figli, da una generazione all’altra, sono raddoppiate: erano il 13,2% di quelle nate negli anni ’50, sono il 26,2 percento di quelle venute al mondo negli anni ’80. Un dato che si aggrava ulteriormente se si prendono in considerazione solo le donne del Sud: quelle senza figli sono circa tre su dieci. Si rimanda la genitorialità e poi si fa ricorso alle terapie per avere figli. In pochi anni, dal 2005 al 2022, il ricorso alla procreazione assistita s’è impennato facendo segnare un aumento del 72,6%. Nonostante ciò, però, le nascite rimangono sempre poche. Come se non bastasse, si continua ad assistere all’esodo dei giovani. Stando ai dati Istat, infatti, hanno lasciato il Paese poco meno di 100mila ragazzi laureati (97mila per la precisione) negli ultimi dieci anni. Il 2024 ha rappresentato l’anno record per gli emigranti italiani: 21mila giovani con istruzione di alto livello hanno voltato le spalle all’Italia cercando altrove un posto in cui vivere e lavorare. Lo studio continua a rappresentare una carta importante per una buona vita lavorativa ma il problema, in Italia, è che di laureati ce n’è sempre di meno e che una quota sempre minore proviene da famiglie con una bassa istruzione. In pratica abbiamo un problema con l’ascensore sociale anche in questo campo decisivo per il ricambio generazionale. Che, così, diventa sempre più un problema soprattutto per le piccole e medie imprese.
Il lungo e ponderoso rapporto redatto e presentato ieri alla Camera dei Deputati dall’Istat contiene altre notizie. Una riguarda lo stop economico patito un anno fa quando il settore privato ha perduto il 2% della sua produttività. Ci sono i riferimenti ai pericoli derivanti dall’incertezza globale. Ma qualche buona notizia, a cercarla, c’è. Sale l’occupazione soprattutto, però, grazie agli over 50 e alle fasce di popolazione lavorativa più istruite che si rimboccano le maniche. Il contrappunto a questo elemento riguarda l’inattività femminile che rimane tra le più elevate d’Europa. C’è, poi, il grande tema dell’energia. Secondo i rilievi Istat, in poco meno di un ventennio, dal 2005 al 2024, l’Italia è riuscita a triplicare la produzione di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili. Nel Paese se ne producono circa 130 terawattora. Ancora lontani dalla Germania (380 Twh) ma più vicini a Spagna (160) e Francia (150). Il fotovoltaico davanti a tutti: il 49% della produzione dipende dal sole. L’eolico cresce ma cala il volume di energia prodotta per il tramite degli impianti idroelettrici che, nonostante abbia perso il 10% della “sua” quota, continua a rappresentare circa il 40% della produzione da rinnovabili in Italia.