Cultura & Spettacolo

Puccini, la Bohème e la magia di Torre del Lago

di Redazione -


di RICCARDO LENZI

Ci sono luoghi che riescono a farci capire meglio la musica di un autore. Basti pensare alla Salisburgo barocca e un po’ bigotta di Mozart, alla Bayreuth saldamente bavarese e miticheggiante di Wagner, alla Busseto sanguigna e contadinescamente orgogliosa di Verdi. Lo sdoppiamento di Puccini lo avvertiamo nella località di Torre del Lago, dove non casualmente dal 14 luglio inizierà il Festival Puccini.

Il compositore la amava a tal punto da stabilirvisi dal 1891 più o meno fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. Tanto da non riuscire a distaccarvisi per lunghi intervalli e affermare di essere «affetto da torrelaghìte acuta». Un amore che i suoi familiari rispetteranno anche dopo la sua morte: nel 1926 venne infatti tumulato nella cappella ricavata da un salottino e decorata con le allegorie della musica. Oggi vi riposa insieme alla moglie Elvira, al figlio Antonio e alla nipote Simonetta. Qui furono composte, almeno in parte, tutte le sue opere di maggior successo, tranne “Turandot”. Arrivò per la prima volta a Torre del Lago per trascorrere l’estate, prendendo in affitto una casa-torre sul lago di Massaciuccoli. Descriveva così il paesino in una lettera all’amico Alfredo Caselli: «Gaudio supremo, Paradiso, Eden, Empireo, turris eburnea, vas spirituale, reggia … abitanti 120, 12 case. Paese tranquillo, tramonti lussuriosi e straordinari…».

Puccini lavorava sino all’alba, chiuso nel suo studio, come un pescatore notturno che muove appena il remo e lascia dondolare la lanterna a fior d’acqua, ribadendo l’accordo sul pianoforte silenziato dalla sordina, mormorando la melodia sotto il velo oscillante del ritmo, come ricordarono i pochi vicini. Mentre il resto della giornata lo passava a sparacchiare alle povere folaghe che popolavano i circostanti acquitrini. Proprio là, alle pendici delle Alpi apuane, si era installato un manipolo di pittori appartenenti alla corrente dei macchiaiuoli: loro credo estetico era che l’arte dovesse riflettere le infinite bellezze della natura. Dopo esser andato con loro a caccia e pesca, Puccini li sfidava a carte stravincendo le disfide e ottenendo in cambio quadri e bozzetti a saldo dei debiti contratti. Sicuramente questo ambiente esercitò una notevole influenza nella scelta del soggetto di una delle sue opere più famose: “Bohème”.

Un chiaro indizio lo abbiamo quando Puccini propose l’acquisto della baracca che fungeva da taverna, fondandovi un club privato, battezzato appunto “Club La Bohème”, atto d’omaggio all’opera allora in gestazione. Proprio “Bohème” aprirà il 14 luglio il festival, nel Gran Teatro all’aperto situato dinanzi alla casa museo recentemente restaurata. Con l’esperta bacchetta di Alberto Veronesi e la regia affidata a Christophe Gayral: pare che sarà molto attualizzata, considerando che la vicenda di Rodolfo e Mimì si svolgerà in una Parigi scossa dalle contestazioni studentesche del turbolento Maggio del sessantotto, avvalendosi per questo delle scenografie di Christophe Ouvrard. Interpreti principali Claudia Pavone e Oreste Cosimo, Federica Guida e Alessandro Luongo.

A seguire, sotto la guida musicale di Robert Trevino, ritorna il recente allestimento di “Turandot” con il finale elaborato da Luciano Berio, che si avvale della regia di Daniele Abbado e delle scenografie di Angelo Linzalata. Per quanto riguarda “Madama Butterfly” il regista Pier Luigi Pizzi promette un’edizione asciutta, aliena da folklorismi orientali. La figura di Cio-Cio-San sarà affidata a Carolina Lopez Moreno, quella di Pinkerton a Luciano Ganci, sul podio Sesto Quatrini. Quarto titolo del maestro lucchese in cartellone è “Il tabarro” abbinato a “Il castello del duca Barbablù” di Bartók. La regia è curata da Johannes Erath (con scene di Katrin Connan, costumi di Noëlle Blancpain) mentre a dirigere l’Orchestra del Festival Puccini sarà stavolta Michele Gamba. Nel primo titolo canteranno Lucio Gallo, Monica Zanettin, Azer Dada, Loriana Castellano; nel secondo Szilvia Vörös e Mikhail Petrenko.


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