Cronaca

Quel contadino scampato al serial killer

di Rita Cavallaro -


Interno giorno, Appennino bolognese, 4 gennaio 2024. Un agricoltore sta dando da mangiare ai suoi animali quando uno sconosciuto gli si scaraventa improvvisamente addosso e comincia ad accoltellarlo violentemente. Il contadino di Talò, 65 anni, si difende con tutte le forze e, nella lotta per sopravvivere, strappa il crocifisso che l’aggressore porta al collo. Il malvivente si dà alla fuga, la vittima viene portata in ospedale in gravi condizioni. Su quella catenina, però, i carabinieri isolano un dna, sorprendentemente già registrato nelle banche dati dei criminali. E scoprono l’orrore. L’aggressore è Francesco Passalacqua, un 56enne calabrese inserito nella lista dei serial killer italiani, insieme alla Saponificatrice di Correggio e alle Bestie di Satana.
Noto con il soprannome di serial killer della Riviera dei Cedri e unico assassino seriale della Calabria nei tempi moderni, Passalacqua, tra il 1992 e il 1997, tinse di sangue quel territorio del Cosentino con quattro omicidi, per i quali l’uomo fu condannato all’ergastolo. In galera, però, ci è rimasto solo vent’anni. Da tre, infatti, era tornato in libertà per buona condotta ed era affidato a una comunità di Vadegheto. Gli abitanti dell’Appennino bolognese lo avevano visto varie volte aggirarsi in bicicletta nella zona. Riservato e solitario, non aveva mai attirato l’attenzione, né si era reso protagonista di strani comportamenti, tanto che nessuno avrebbe mai immaginato che quell’uomo fosse un pericoloso assassino seriale. Finché i fantasmi tenuti segreti non hanno ripreso a urlare nelle mante di Francesco e la mania omicida del criminale è tornata a galla, per colpire ancora le sue prede, che avevano un target ben preciso: tutti pastori e contadini tra i 50 e i 70 anni. A eccezione della sua prima vittima, Mario Montaspro, un autotrasportatore di 45 anni ucciso a Scalea in un modo orribile. Era la notte del 3 aprile 1992 quando Passalacqua, dopo aver passato una serata al bar con la sua vittima, si era intrufolato in casa di Mario per rubargli i soldi. l’aveva lapidato con una grossa pietra, un blocco di cemento che gli frantumò il cranio. Per quel delitto, era stato condannato a 24 anni, ma dopo cinque era già fuori. E il 16 marzo 1997 tornò a uccidere. In una casa di campagna di Marcellina sorprese Salvatore Belmonte, un agricoltore di 59 anni. La vittima fu soffocata senza pietà dall’assassino, che gli spinse il piede sul collo con forza, finché il contadino smise di respirare. Fu a Belmonte che rubò la pistola con la quale, un mese dopo, tornò a uccidere. Il 16 aprile, infatti, il pastore 65enne Francesco Picarelli fu trovato riverso nel sangue, nelle campagne di Verbicaro. Lo avevano freddato con due colpi, uno sparato a bruciapelo alla tempia, l’altro dritto al cuore. E quando il 28 aprile anche il pensionato Vito Michele Resia, 72 anni, fu rinvenuto cadavere con tre colpi d’arma da fuoco al volto, gli inquirenti si resero conto che i due casi erano collegati. Le indagini si concentrarono su Francesco Passalacqua, che proprio nel periodo dei delitti si era trasferito da Scalea a Verbicaro. Il suo nome, tra l’altro, era emerso in un’intercettazione telefonica, in cui un testimone sosteneva di aver visto Passalacqua vicino alla scena del crimine. Tanto più che il sospettato aveva precedenti specifici, visto che era già stato in galera per omicidio. Per gli investigatori, pertanto, poteva essere proprio Francesco Passalacqua l’assassino misterioso che terrorizzava la zona, al punto da meritarsi l’appellativo di serial killer della Riviera dei Cedri. La svolta arrivò quando i carabinieri, ai quali l’indagato aveva fornito un alibi falso, trovarono in casa del padre una pistola dello stesso calibro di quella utilizzata nei delitti. Il cerchio si chiuse: Passalacqua venne arrestato e, messo davanti alle prove, crollò, confessando tutti i particolari agghiaccianti dei quattro delitti. L’inchiesta accertò che il movente delle uccisioni non era il furto, ma le pulsioni omicide che scuotevano un assassino freddo e antisociale. È così che definirono Passalaqua i medici nominati dal Tribunale per eseguire la perizia psichiatrica, con la quale accertare se l’arrestato fosse capace di intendere e di volere al momento dei fatti. E la valutazione clinica certificò che il serial killer della Riviera dei Cedri non era pazzo. Era semplicemente il male.


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