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Quell’orrore di Auschwitz e la Shoah che rivive oggi

di Redazione -


Auschwitz – È sabato, il giorno di festa per gli ebrei. La lunga trama di visitatori si dirama di fronte l’ingresso del Museo della Shoah, sotto il cielo plumbeo di Oswiecim, Polonia. È freddo. Il tempo di passare il codice a barre al lettore e si è dentro il campo. Il percorso di ingresso si snoda ora attraverso due pareti bianche, di cemento armato, alte cinque metri, a destra e a sinistra, in un corridoio stretto. Angosciante.

È cambiato l’accesso al campo di sterminio, ma non l’emozione. Pochi metri e si è di nuovo sotto il cancello in ferro su cui campeggia la scritta: “Arbeit macht frei”. Il lavoro rende liberi. Già. Poco lontano da quell’ingresso, a sinistra, il punto in cui venivano esposti i corpi dei prigionieri uccisi nel tentativo di scappare, per fare da monito agli altri. Qui, tra il 1940 e il 1945, i nazisti hanno deportato un milione e 300mila persone, di cui un milione e centomila ebrei. Lo stesso numero asfissiato nelle camere a gas che ancora testimoniano l’Olocausto nel vicino campo di sterminio di Birkenau.

“Il numero di visitatori dall’attacco di Hamas del 7 ottobre ad oggi è intenso, ma si tratta di persone che si sono registrate prima” mi dice il direttore del Memoriale di Auschwitz, Piotr Cywinski. “Quello che è aumentato, in maniera impressionante, è il numero di contatti sui nostri canali social: di sostegno, ma anche di insulto”. Purtroppo. Ai blocchi 6 e 7, a guardare le centinaia di fotografie di volti di uomini e donne, giovani e adulti, con gli occhi sgranati, nelle divise a strisce verticali, appena arrivati nel campo, tornano alla mente le immagini degli ostaggi rapiti da Hamas. Ora, come allora, lo stesso terrore e la stessa disperazione. Ebrei di ieri e di oggi. “Si trattava di ebrei indicati come appartenenti alla confessione di Mosé, oltre tre milioni in Polonia nel 1931” ricorda il collega Stefan Bielanski.

“Ma lo sterminio e la decisione della soluzione finale fu presa da Hitler indipendentemente dalla religione, solo per il fatto di essere ebreo”. E infatti furono sterminati anche ebrei di religione cattolica o atei. E a fare da kapò delinquenti comuni, criminali, assassini, proprio come quelli che oggi vengono arruolati nell’esercito dell’aggressore russo per combattere in Ucraina. Il freddo è intenso ora, quasi vicino allo zero. Ora come allora, quando i treni venivano fatti arrivare direttamente al campo di sterminio, invece che alla vicina stazione. Per ottimizzare i tempi di esecuzione.

Da qui, sono passati Anna Frank, Edith Stein, convertita al cattolicesimo e poi divenuta Santa Teresa Benedetta della Croce, e San Massimiliano Kolbe, che celebrò la sua prima messa nella Basilica di Sant’Andrea delle Fratte, a Roma, il 29 aprile 1918. E la sua ultima nella cella al sotterraneo del blocco 11, dove offrì la sua vita il 14 agosto 1941 per salvare quella del condannato Franciszek Gajowniczek. Una stele con una candela ricorda oggi quel sacrificio e quello di altri prigionieri come lui, lasciati morire di fame. Il percorso della visita attraversa gli altri blocchi, tra gli effetti personali sequestrati ai prigionieri. Valigie su cui sono impressi i numeri di matricola, migliaia e migliaia di scarpe, accatastate, alla rinfusa, senza distinzione. E poi stoviglie, tegami, tazze di latte, a centinaia.

E protesi di arti, busti, stampelle in legno. Decine e decine di chili di ciocche di capelli sono ancora qui, conservati oggi in una teca di vetro, in penombra, in segno di rispetto. Torniamo verso l’uscita. Il tempo di raggiungere Birkenau, poco lontano. Il freddo è ancora più pungente ora, nelle baracche in legno, con le repliche dei cassoni, i letti dove erano ammassati i prigionieri. Prima di essere portati per l’ultima volta nelle camere a gas. Si fa silenzio tutto intorno a noi, tra i visitatori, con gli occhi umidi di commozione, che si incrociano e subito sfuggono allo sguardo.

Altri non riescono ad entrare, tale è l’orrore anche solo del ricordo. E il cuore si stringe a pensare ai tanti ostaggi ancora in mano ad Hamas. E ai morti innocenti di donne e bambini, da una parte e dall’altra. Allora il mondo si unì e vinse. E ora?

di FRANCESCO NICOLA MARIA PETRICONE
Ordinario di Sociologia dei fenomeni politici e giuridici, Università LUMSA


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