Attualità

Questure, ordine pubblico ed egoismi di parte

di Giuseppe Tiani -


Con la preordinata violenza esplosa nel corso della manifestazione Pro Pal, nel giorno dello sciopero generale del 22 settembre è subentrato il teatro dell’ipocrisia italiana. Da una parte c’è chi, con piglio autoritario, ha invocato il pugno duro della repressione, dall’altra i minimizzatori che hanno derubricato i disordini e la devastazione a episodi marginali, opera di qualche infiltrato, e non una parola sulla violenza e lesioni con danni permanenti subite dai poliziotti. 

Nel pomeriggio di martedì, poi, con un’ agenzia stampa il sindacato di base, promotore della protesta per Gaza, ha accusato la questura di Bologna di aver trasformato in violenta una manifestazione pacifica, una tesi più che discutibile, con il ritornello che attribuisce responsabilità ai poliziotti e alle Autorità di pubblica sicurezza che devono gestire, tra mille difficoltà, le dinamiche evolutive dell’ordine pubblico. La dichiarazione del sindacato, al di là di tutto, si è inserita con una posizione antitetica al dibattito su accuse di segno opposto indirizzate, dagli esponenti del maggiore partito di governo, al Questore Antonio Sbordone perché, dal loro punto di vista, la città è stata ostaggio dellaviolenza per molte ore.

Il caso di Bologna

Il caso di Bologna è emblematico del perenne dibattito in tema di gestione dell’ordine pubblico. La materia, notoriamente complessa è oggetto di contrapposizioni, avulse dalla realtà delle contingenze oggettive che la polizia deve gestire, e tocca diritti costituzionalmente garantiti che non possono e non devono essere tirati da una parte all’altra per interessi di parte. Ragione per cui i Padri Costituenti affidarono a funzionari civili le cure della pubblica sicurezza, perché culturalmente e professionalmente connotati dalla terzietà nell’esercizio delle delicate funzioni, ad essi affidate, dalla legge e non dal partito o sindacato di turno. Se la verità sta nel mezzo di posizioni e visioni contrapposte, i poliziotti e il Questore di Bologna hanno espletato correttamente il proprio dovere, specie nel prudente uso della forza dello Stato, strumento necessario in determinati contesti per il delicato esercizio delle funzioni affidate dalla Carta alla Pubblica Sicurezza.

Le considerazioni circa una manifestazione per larghissima parte animata da persone pacifiche”, radunatesi per non restare inermi di fronte ai massacri in corso a Gaza, certamente non possono esimere la questura dal fronteggiare attivisti che arrichiscono la cronaca attraverso la violenza, considerando necessario nel loro modus operandi lo scontro, al fine di poter affermare la loro esistenza. Il caso di Bologna e diverso dalle devastazioni compiute a Milano e Roma, ma il riflesso è sempre lo stesso addossando colpe ad altri, specie quando i poliziotti e la Questura hanno tenuto ben saldo il timone per l’unica rotta che la Pubblica Sicurezza dello Stato può seguire,che si concretizza nella terzietà delle scelte rispetto agli eventi e ai desiderata della politica, anche quando il mare e in tempesta e la bussola è rotta. 

Il paravento delle proteste

A Roma, Bologna come a Milano, immagini e fatti ci raccontano che le proteste, per consistenti gruppi, sono un paravento entro cui si consuma la violenza urbana, inficiando così come in quest’ultimo caso, chi credeva di partecipare per invocare la fine del massacro che si sta consumando nella striscia di Gaza.Lo spartito del disordine e della violenza indirizzata ai lavoratori di polizia narcotizza le motivazioni genuine di scioperi e manifestazioni. 

Alcuni esponenti politici dovrebbero essere più prudenti nelle posizioni che assumono su questi temi, perché il pane per cui lottarono, perirono e furono arrestati i braccianti meridionali a San Severo, Cerignola, Minervino Murge, Andria, Torre Maggiore, da simbolo di dignità ed emancipazione contro l’oppressione per affrancarsi dal dominio autoritario di un potere senz’anima oggi è divenuto pretesto per teppisti senza credo, il cui unico scopo è praticare la violenza. 

Mentre i problemi sociali sono branditi come vessillo dell’appassita uguaglianza, violentata e snaturata anche da chi avrebbe dovuto presidiarne il confine. Chi alzando la voce, chiese pane, dignità e lavoro, per l’insipienza di alcuni si ritrova accomunato a chi pratica la violenza per il gusto della devastazione, così l’eterogenesi dei fini della storia è compiuta. Diversamente dal pensiero di alcuni salotti, anche grazie alle nobili lotte, nonostante la repressione del primo dopoguerra subita da quei dimenticati braccianti, e alla maturazione culturale e civile introdotta nei corpi armati dello Stato dai sindacati del movimento democratico dei poliziotti, oggi la polizia italiana è un presidio che garantisce la fruibilità dei diritti e dei processi democratici.

L’evoluzione storica della nostra pedagogia istituzionale, sociale e politica, consente alle Autorità di pubblica sicurezza di bilanciare con equilibrio e sempre meglio, il fragile confine tra libertà e sicurezza pubblica, come avviene in qualsiasi democrazia compiuta, non impedendo mai lo svolgimento delle pubbliche manifestazioni, tranne quando queste assumono connotazioni violente e devastatrici. Un discrimine che per alcuni è difficile accettare, anche quando i lavoratori in uniforme subiscono inusitata violenza.


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